Atletica
Storia delle Olimpiadi: Dorando Pietri, quando la gloria supera la vittoria
Dorando Pietri avrebbe voluto vincere quelle Olimpiadi. Anzi, sul campo le avrebbe anche vinte, se non fosse stato per quel ricorso sacrosanto e puntualmente accolto della squadra americana. Eppure, proprio nella sconfitta e nell’irripetibile modo in cui è maturata Dorando Pietri è diventato un’icona dello sport.
Basterebbe fare un semplice sondaggio tra amici e conoscenti, chiedendo quanti conoscono il nome del vincitore della maratona ai Giochi Olimpici 1908 e quanti conoscono quello di Dorando: in nessun caso ci sarebbe spazio per discussioni, perché la fama dell’azzurro precede non solo quella dei più vincenti atleti della sua contemporaneità, ma anche quella di tanti campioni affermatisi, possiamo ormai dirlo, nel secolo successivo.
Storia d’altri tempi, storia di un ragazzo che nasce nell’Emilia rurale e agricola nel 1885, con la famiglia presto costretta a trasferirsi a Carpi, centro più grande rispetto a Mandrio di Correggio, perché una bottega in “città” offre maggiori garanzie della dura vita dei campi. Tutto ciò che è avvolto dalle nebbie della storia racchiude spesso episodi ai confini tra mito e realtà: ma se Dorando Pietri è mito, allora dobbiamo credere alla leggenda che lo vuole inseguire, pur digiuno di allenamento e col grembiule da garzone della pasticceria sul petto, il maratoneta professionista Pericle Pagliani negli ultimi chilometri di una gara di Carpi. Che sia andata così o diversamente, poco importa: quel fatto del 1904 rappresenta la chiave di volta, il piccolo Dorando (159 cm di pura energia) sa correre forte e l’atletica italiana trova un atleta estremamente interessante.
Un titolo nazionale dopo l’altro, Pietri si afferma come il più completo mezzofondista e maratoneta azzurro, in grado di vincere su ogni distanza dai 5000 metri in poi a conferma di una poliedricità davvero rara da incontrare tra gli atleti del giorno d’oggi. E un passo dopo l’altro, arrivano le Olimpiadi di Londra 1908: la maratona di allora era qualcosa di molto difficile da immaginare e comprendere per chi è abituato alla preparazione scientifica del terzo millennio, basti pensare che il campione di St. Louis 1904, Thomas Hicks, si alimentò nella sua corsa verso l’oro con un allucinante mix di stricnina, brandy e uovo sbattuto.
Ma siamo appunto a Londra, addì 24 luglio 1908, giornata calda e umida. Dorando non è tra i favoriti, eppure un po’ per la sua straordinaria giornata, un po’ per le vertiginose crisi di altri contendenti si trova in seconda posizione poco oltre il trentesimo chilometro: il sudafricano Charles Hefferon, unico davanti a lui, viene però stravolto dai crampi allo stomaco generati da una bibita ghiacciata. Pietri accelera, recupera, si mangia Hefferon, vola verso l’oro: ma il volo è interrotto da una lunga, drammatica, violenta e clamorosa Via Crucis.
Di energie non ci sono più: una sbandata, una caduta, poi in piedi, un’altra caduta. Cinque, forse sei volte, nell’ultimo chilometro e in particolare negli ultimi 500 metri, i quali verranno percorsi in ben dieci minuti: lo stadio di White City ha visto entrare questo piccolo italiano stravolto e istintivamente lo prende in simpatia, lo sostiene, gli indica la giusta direzione quando, rialzandosi, si mette a sbandare in senso opposto. Nessuno lo tocca, perlomeno sino a quando lo statunitense Johnny Hayes, acerrimo nemico dei britannici, non si avvicina pericolosamente: allora un medico e persino un giudice sollevano Pietri e di peso gli fanno tagliare il traguardo, per quell’immagine che ancora oggi vale quanto il passaggio della borraccia tra Coppi e Bartali.
Pietri ha vinto, ma solo la gara della vita perché chissà quanti, al suo posto, non avrebbero più rivisto la luce del giorno: l’oro, infatti, gli viene tolto per reclamo degli americani, sebbene in un primo momento l’azzurro fosse stato dichiarato vincitore.
Storia d’altri tempi, sì, ma quantomai attuale, se si pensa che solo una settimana fa il Coni ha inserito il campione emiliano nella Walk of Fame, la simbolica camminata delle stelle dello sport italiano. Si diventa mito anche se non si vince.
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marco.regazzoni@oasport.it