Atletica
Golden gala, delusione per l’atletica azzurra
In un Golden Gala pieno come non mai delle stelle internazionali che hanno fattor registrare eccellenti performance, non era semplice per l’atletica italiana trovare spazio, vista anche la concomitante crisi che sta attraversando il nostro movimento.
Ormai gli azzurri si devono semplicemente accontentare di acchiappare con estrema fatica i pass olimpici e di arrivare a distanze siderali dai migliori del Mondo. Non è certamente facile combattere contro potenze che possono vantare atleti con fisici pazzeschi e già portati naturalmente (e geneticamente) portati agli sforzi che richiede questo sport. Tuttavia è ben lecito aspettarsi qualcosina di più.
L’atletica è da sempre il termometro di un paese, sia dal punto di vista sportivo che da quello economico-sociale, e i risultati (pochi) che il nostro paese ottiene non sono di certo confortanti.
Non guardiamo alla discipline veloci, dove ormai le fibre bianche non possono più competere con le muscolature caraibiche (se si esclude il francese Lemaitre, unico viso pallido ai blocchi di partenza dei 100m). Basta fare un’analisi sul mezzofondo: se negli anni ottanta c’era un’Italia che aveva fame e correva, sudando tantissimo, con Cova, campione mondiale e olimpico nei 10mila metri, ora ci si accontenta di uno Yuri Floriani che strappa a fatica il minimo olimpico A nei 3000 siepi (8’22’’62, contro il richiesto 8’23’’10) ottenuto, a 30 anni come miglior prestazione della vita, in una gara che viaggiava sui ritmi da record del mondo.
Silvia Weissteiner ed Elena Romagnolo gioiscono come se avessero vinto i 5000, e invece hanno strappato in extremis la qualificazione a Londra (scese di poco sotto il richiesto 15’20’’dopo una corsa fatta di sofferenza, rispettivamente 15’18’’04 e 15’19’’78) correndo in coppia e tirando a strappi.
Se Marta Milani, che pareva essere una promessa, va oltre i 2’02’’ negli 800m in una gara in cui è mancata la star Semenya, e la Cusma non parte per non meglio precisati motivi, beh allora qualche domanda sorse spontanea.
Certo i campioni non mancano, ma non erano presenti nella serata di Roma: Schwazer, Di Martino, Rigaudo, Rubino. Un altro campione lo avevamo ma si è perso tra infortuni e blocchi psicologici: Giuseppe Gibilisco non vola più alle misure stratosferiche di Parigi e di Atene. Ormai sono passati dieci anni e ieri non si è nemmeno presentato. Nel salto con l’asta il suo posto sembra essere andato a Claudio Stecchi, ma non riesce a schiodarsi da 5.60, troppo poco per poter competere con il francese Lavillenie che vola già a 5.82. Bisognerebbe appunto imparare da Francia e Germania che riescono a ritagliarsi il loro spazio e qui non possiamo tirare in ballo genetica e strutture fisiche.
Stesso discorso vale per gli altri tipi di salto. Silvano Chesani e Marco Fassinetti sono giovani ma si fermano a 2.20m, sì alla stessa misura del campione in carica ma a 15 centimetri dai migliori.
Manca forse la voglia, il sacrificio, la fatica. Mancano le strutture, i soldi, forse mancano gli allenatori e i preparatori. Durante i campionati nazionali sembrava essersi fatto un passo in avanti (soprattutto con la Trost, su cui si punta molto per il futuro), ma qui si è di nuovo precipitati nel baratro. Non si parla di vincere, ma almeno di farsi notare per qualche buona prestazione.
Per concludere: Margherita Magnani (4’12’’17 nei 1500 metri ); Chiara Rosa (18.62 nel getto del peso); Simona La Mantia (13.87 nel salto triplo, molto al di sotto delle sue possibilità); Giordano Benedetti (1’49’’90 negli 800 metri); Manuela Gentili (56’’36 nei 400hs, a 6 centesimi dal minimo per l’Europeo); Marzia Caravelli (unica nota positiva con un buon 12’’96 nei 100hs).
Stefano Villa