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Ciclismo

Malori, dal nero del Tour al rosa del Giro

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Per anni le prove a cronometro hanno rappresentato il principale punto dolente del ciclismo azzurro: oltre all’ingegner Marco Pinotti, pochissimi atleti sono stati in grado di competere in questa specialità, che non è solamente fine a se stessa, ma è anche fondamentale per poter vincere una corsa a tappe. La tradizione sembra essersi invertita nell’ultimo periodo, prima con Vincenzo Nibali, poi con i giovanissimi Manuele Boaro e Moreno Moser: in mezzo a loro, Adriano Malori da Traversetolo, sotto le colline parmensi e reggiane. Già a livello giovanile il ragazzo aveva lasciato intendere la sua predilezione per le prove contro il tempo, aggiudicandosi un oro e due bronzi europei, un oro ai Giochi del Mediterraneo e soprattutto vincendo i Mondiali Under 23 di Varese 2008. Passato professionista due anni dopo con la Lampre, guadagna in simpatia terminando ultimo al Tour de France, a quasi 4h30’ dal vincitore (poi squalificato) Alberto Contador. Ma l’esperienza d’Oltralpe è fondamentale per maturare agonisticamente e l’anno successivo Malori, oltre a farsi notare con una fuga di 220 km sempre alla Grande Boucle, coglie i primi successi di una carriera che si preannuncia luminosa, con il titolo nazionale a cronometro vinto a Paternò e la tappa di Crevalcore (ovviamente contro il tempo) alla Coppi&Bartali. Quest’anno invece un giorno in maglia rosa al Giro d’Italia, dopo essersi classificato secondo sul traguardo di Porto Sant’Elpidio, e la riconferma del Tricolore che sfugge per soli 2”: vediamo cosa ha confidato in esclusiva ad Olimpiazzurra questa bella realtà del pedale azzurro.

Adriano, dalla maglia nera del Tour a quella rosa, pur per un giorno solo, di leader del Giro: un bel cambiamento, no? Che emozioni hai provato?    “Indubbiamente è stata l’emozione più grande della mia vita. In modo particolare, alla partenza del giorno successivo mi sono sentito veramente i brividi addosso”.

In generale, come valuti questa prima parte di stagione?                              All’inizio dell’anno andava tutto storto, visto che a gennaio sono stato letteralmente atterrato da un virus: poi gradualmente ho recuperato la condizione, e dal Giro dei Paesi Baschi in poi ho iniziato ad andare forte, pur senza riuscire a vincere. La maglia rosa ha sistemato molte cose!”.

L’appuntamento con i Giochi di Londra si avvicina e tu hai buone chance di essere convocato, quantomeno per la prova a cronometro: come ti stai preparando?                                                                                                                           Andare a Londra sarebbe un sogno, però mi rendo conto che si tratta di un discorso complesso e che i pretendenti sono tanti e di alto livello: al momento quindi non ci penso, accetterò ciò che verrà”.                                                                                                          

Molti si ricordano di te per la “pazza” fuga di Lisieux al Tour dello scorso anno: quant’è il rammarico per essere stato ripreso a così pochi passi dal traguardo? Quest’anno ci riproverai?                                                                            Per fare un tentativo del genere ovviamente devi sperare di arrivare al traguardo, anche se ero consapevole che, in tappe come quella, difficilmente il gruppo lascia spazio ai fuggitivi. Quest’anno non parteciperò al Tour, quindi non potrò riprovarci.             

Ormai è da due anni e mezzo che sei tra i professionisti: quali differenze balzano all’occhio rispetto alle categorie minori?                                                      C’è proprio un salto di livello notevole su tantissimi aspetti: la velocità, i chilometraggi, la durezza delle salite, lo stress della corsa. Tutto è più amplificato, questa è la grande differenza”.                                                                                                                                     

Tra i compagni di squadra, c’è qualcuno da cui credi di poter imparare ancora qualcosa?                                                                                                                      Ogni corridore con un pizzico di esperienza in più della mia può insegnarmi qualcosa; quindi ho tanti punti di riferimento e spero di poter apprendere al meglio da ciascuno di loro”.

Come mai, sin da giovane, hai deciso di puntare sulla cronometro, tenendo presente che in Italia non c’è una buona tradizione? Quanto ti ha aiutato la pista nel perfezionarti?                                                                                                            Fino al 2006, quando correvo negli juniores, utilizzavo la pista con una certa frequenza, mentre con l’andar del tempo sono diventato meno assiduo. Comunque la scelta della cronometro è venuta da sé, diciamo che mi sono scoperto cronoman e ho continuato su questa strada, cercando sempre di perfezionarmi”.      

Hai avuto la fortuna e il merito di vincere parecchie medaglie negli anni scorsi: ce n’è una a cui sei particolarmente affezionato?                                          “L’emozione di vincere un Mondiale è veramente incredibile, quindi sono particolarmente affezionato al successo di Varese 2008. Mi sono persino fatto un tatuaggio con la data di quella vittoria per portarla sempre con me”.

Considerando che sei molto giovane, come passi il (poco) tempo lontano dalla bicicletta?                                                                                                                                    Il tempo libero è veramente poco, quindi cerco di trascorrerlo con i miei amici, per divertirmi e rilassarmi!”.

foto tratta da cyclingtr.com

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