Calcio
Italia: ora investiamo su giovani e vivai
La sonora sconfitta subita nella finale degli Europei per mano della Spagna non ridimensiona quanto di buono fatto dalla nazionale italiana in Polonia ed Ucraina.
La competizione appena terminata ha emesso un verdetto importantissimo: la rivoluzione copernicana di Cesare Prandelli, nata due anni or sono dalle ceneri del Mondiale sudafricana, è giunta pienamente a compimento.
Il 51enne di Orzinuovi è riuscito in un’impresa quasi impossibile: andando contro ad una tradizione decennale, ha creato una nuova filosofia calcistica destinata (si spera) a mutare per sempre il nostro mondo del pallone.
Se in passato eravamo i maestri della difesa e del contropiede, ora cerchiamo sempre di macinare gioco e di costruire azioni a seguito di un ragionato possesso palla. Insomma, l’Italia non ha vinto, ma finalmente possiede una nuova identità su cui poggiare le basi per il futuro.
E qui arrivano le note dolenti. Senza un progetto comune e condiviso, l’exploit europeo degli azzurri rischia di rivelarsi come la classica oasi nel deserto.
La Nazionale, infatti, costituisce il faro di tutto il movimento e come tale andrebbe considerata anche dai club e dalla Lega. Questo, purtroppo, non avviene: basti pensare alle immani resistenze da parte di alcuni presidenti riguardo alla richiesta di Prandelli di effettuare degli stage in preparazione agli Europei. Insomma, gli Azzurri fanno comodo sono una volta ogni due anni nel corso dei grandi aventi, mentre per il resto vengono accantonati in un angolo e considerati alla stregua di una seccatura.
Il rischio più serio e tangibile, inoltre, è che l’Italia perda gradualmente competitività a causa della sempre più esagerata invasione straniera in Serie A, ricalcando la non piacevole situazione dell’Inghilterra. Ormai nel nostro campionato la percentuale di non-italiani ha raggiunto la percentuale del 50% ed è destinata ad aumentare considerevolmente nel corso dell’estate. Quasi tutti i club, ormai, navigano in cattive acque economicamente e ricercano all’estero il possibile crack, una scommessa su cui puntare per poi magari guadagnare vagonate di milioni nel giro di un paio d’anni. E’ chiaro che questo non solo accade raramente, ma è indice anche della più totale mancanza di organizzazione dal punto di vista dei settori giovanili. Esempi come quello dell’Udinese, d’altronde, non aiutano di certo i giovani di casa nostra.
Coltivare i vivai, tuttavia, rappresenta la soluzione ideale per qualsiasi squadra in tempo di crisi e mancanza di liquidità. Se i top player sono ormai fuori portata per il campionato italiano, piuttosto che acquistare degli stranieri modesti, sarebbe opportuno costruirsi i campioni in casa, non solo educandoli ed istruendoli sin da bambini, ma anche, e soprattutto, puntando ciecamente su di loro, concedendogli spazio in prima squadra e non silurandoli al primo errore commesso. In questo modo, infatti, non solo ne beneficerebbero i club, ma anche la Nazionale, con il ct di turno che avrebbe maggiori possibilità di scelta.
Nei prossimi giorni analizzeremo i segreti del modello spagnolo ed i possibili innesti cui si affiderà Prandelli verso i Mondiali del 2014.
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