Artistica
Vanessa Ferrari e i Giochi Olimpici
Giunge al capolinea il viaggio di Olimpiazzurra che ha visto passare in rassegna tutte le sette ginnaste impegnate nel collegiale, da cui sono usciti i cinque nomi che parteciperanno ai Giochi. Senza troppi preamboli l’ultima tappa è per lei: Vanessa Ferrari. Ricordiamo intanto che le ragazze partiranno da Milano martedì 24 luglio alle 15.35.
Campionessa. Per quanto ha vinto. Mito. Per quanto dà al suo sport, sacrificandosi di continuo. Icona. Per quello che rappresenta. Passione. Per il cuore che pulsa in ogni suo esercizio. Emozioni. Quelle che la fanno vibrare e la fanno stare sulla cresta dell’onda, per regalarci qualcosa di unico. In due parole Vanessa Ferrari. Per chi non la conoscesse, semplicemente, la ginnasta più forte che l’Italia abbia mai visto. Colei che ha fatto scoprire questo sport a grandi platee. L’apripista di una scuola che al femminile sta dando grandi risultati.
Pronta a prendere l’aereo per Londra. Alla sua seconda Olimpiade. L’unica non esordiente del gruppo che a Londra terrà alta la nostra bandiera. Con i suoi ventidue anni da compiere a novembre è la veterana, la capitana, la guida, il punto di riferimento di tre minorenni (Giorgia Campana, Erika Fasana, sua compagna di allenamento per due volte a settimana; Carlotta Ferlito) e di una poco più che diciottenne (Elisabetta Preziosa).
In Gran Bretagna. Per ben figurare. Senza le pressioni che troppe volte l’hanno caricata di responsabilità. Obiettivo? Presentarsi in salute, tranquilla, fare bene come sa fare lei, mettere in mostra tutti i suoi numeri e il suo infinito repertorio. Senza bastoni tra le ruote, senza polemiche che qualcuno ha cercato di alzare proprio oggi. E poi quello che viene sarà tutto ben accetto. Finali individuali? Un podio al corpo libero? Una top five a squadre? Chi lo sa. Sogniamo con lei, ma lasciamole fiato, diamole corda, diamole spazio.
L’unica azzurra a vincere un Mondiale. Nel concorso generale. Quello più prestigioso. Quello che ti proietta tra le grandi. Quello che ti immortala nella storia. Il tuo nome impressionato negli almanacchi. Per sempre. Soprattutto se non hai ancora spento sedici candeline. In quel 15 ottobre 2006 ad Aarhus (Danimarca) la Vane incolla tutti al televisore. I suoi quattro esercizi sono un mix di perfezione, di estro, di fantasia, di originalità. Il cuore va in gola quando cade dalla trave. Terza rotazione. Salto raccolto con un avvitamento. 14.900. Corsa compromessa? No! Perché sulle note del Nessun dorma, tutti sono ben svegli a guardare il suo corpo libero che le vale uno spettacolare 15.500. Uno dei punteggi più alti da quando, proprio in quell’anno, si decise di cambiare il sistema di punteggi. 61.025 (arrivò anche un fantascientifico 15.825 alle parallele asimmetriche e un 14.800 all’odiato volteggio). I sogni di bimba si sono avverati. L’apoteosi è lì a portata di mano. Gli applausi sono tutti per lei. Ma mica è stato tutto così facile. Riavvolgiamo un po’ il nastro.
Nata a Orzinuovi, a pochi chilometri da Brescia. Leonessa, come lei, che l’ha presa e l’ha fatta diventare grande. Con la maglia della Brixia. Quello squadrone capace di vincere otto scudetti consecutivi nell’ultimo decennio. Guidata da quel guru che porta il nome di Enrico Casella. I suoi primi passi, però, li aveva mossi a Soncino (Cremona) dove abitava da piccola. Il tutto è iniziato per un motivo banale, come sarà capitato a migliaia di ragazzi, magari anche per altri sport: a sette anni stava guardando la tv, vede all’improvviso una ginnasta sulla trave e decide di provare anche lei. Tutto inizia come un gioco, come un passatempo. Poi iniziano a delinearsi i veri contorni del sacrificio. Delle difficoltà. Con l’inizio del doppio allenamento quotidiano che rappresenta il segno del passaggio nel mondo di “quelle che ce la potrebbero fare”, che per lei arriva a soli nove anni. E che, ovviamente, da professionista, continua ancora adesso. Sedute in palestra, salti, capriole, in posti non attrezzatissimi (sarà lei stessa, dopo il titolo mondiale, a chiedere che le costruissero una palestra adatta a questi livelli, facendo nascere così il Palalgeco). Lacrime, per movimenti non riusciti. Gioie, per acrobazie riuscite. Crescita costante, ma a quote che nel nostro Paese non si erano praticamente mai viste. C’è un fenomeno che sta nascendo. Voglia, testa, cuore, non arrendersi. Nonostante tutto.
Se ne accorgono praticamente tutti. Dopo una sfilza di successi tricolore, arriva la consacrazione. Che dopo quel Mondiale, la vedrà fare doppietta l’anno successivo con la vittoria al campionato europeo di Amsterdam (Paesi Bassi). Sembra non essercene per nessuno ma, come nelle migliori storie, arrivano i grandi ostacoli. Che, in questo caso, si chiamano infortuni. Una frattura all’osso scafoide del piede nel 2007 e una brutta tendinite nel 2008, proprio un mese prima di Pechino. Lì, dove tutti si aspettavano un triplete mai visto nella storia, con il CIO che le aveva pure dedicata una copertina riconoscendola come una delle stelle dell’evento, la Ferrari stringe i denti, le prova tutte, pressata, con pochi che capiscono il suo reale problema. Se avesse saputo che sarebbe andata così, chissà… Chiuderà undicesima con 59.450, in lacrime e delusa da se stessa. Ma con quella tendinite che ancora adesso, in qualche frangente, si porta ancora dietro. E che ne ha bloccato una nuova apoteosi. Vanessa deve solo cercare tranquillità, il piacere di fare ginnastica e tornerà quella che era, e che è ancora. Campionesse si diventa e quello status non lo si perde più. La Nazionale non può fare a meno del suo faro. Il resto è poi storia recente con l’amarezza per il nono posto di squadra ai Mondiali di Tokyo (Giappone) dello scorso anno, e la vittoria al Test Event di gennaio che le ha proiettate all’appuntamento a cinque cerchi.
Un sorriso stupendo, segno dell’amore per questo sport. Un fisichino di 146 centimetri (è la più piccola della nostra squadra) così agile e flessibile. 45 chilogrammi sempre pronti a dare la zampata. Grande rapidità nei movimenti con le mani. Grande forza negli arti superiori, così importanti alle parallele asimmetriche. Grande equilibrio, rigidità, potenza e controllo del corpo, fondamentali alla trave. Plasticità e compostezza, elementi distintivi del corpo libero, il suo attrezzo preferito in cui esegue delle evoluzioni di livello planetario. E che diagonali: Tsukahara avvitato (il doppio salto indietro con un avvitamento del primo, inventato dal grande giapponese Mitsuo, Re tra Monaco ’72 e Montreal ’76, ed eseguito al femminile per la prima volta da Daniela Silivas, la rumena che andò a medaglia in tutte le discipline a Seoul ’88), Tsukahara raccolto collegato subito con un salto indietro (coraggiosa, perché lo sbagliò sia ai Giochi di quattro anni fa sia agli Europei di Milano 2009), il sempre ostico avvitamento e mezzo con salto teso avvitato, prima di chiudere col classico doppio carpio. E tanto per gradire non poteva mancare il Gogean nella parte artistica (ejambèe cambio con un giro, brevettato dalla rumena Gina, svariate volte iridata a metà anni ’90 e che non ha mai avuto la gioia di un trionfo a cinque cerchi). Insomma capace di tutto. E di sorprendere. Soprattutto.