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Che lacrime! Che beffa! Che ingiustizia! Ferrari quarta

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Perché si deve togliere la medaglia a una ragazza che arriva a pari merito con un’altra? Perché se esistono un punteggio di ingresso e uno d’esecuzione deve prevalere quest’ultimo se si termina la prova con la stessa votazione? Se una ginnasta ha dichiarato valori più alti prima dell’esercizio un motivo ci sarà. Non conta niente uno tsukara avvitato in prima diagonale, prima italiana a svolgerlo e unica in questa finale insieme alla Raisman? Non vale niente aver inventato un proprio movimento e svolgerlo perfettamente a tre quarti dell’esercizio (strug ad anello del valore di 0.40)? Il regolamento stupido stronca le gambe al ritorno definitivo di Vanessa Ferrari. La nostra capitana. La ginnasta più grande che il nostro Paese abbia mai avuto. Cercava in questi Giochi quell’alloro che avrebbe completato una bacheca di tutto rispetto. Voleva realizzare un sogno, desiderava quella medaglia che mai una donna dell’artistica italiana è riuscita a portare in Patria (se si esclude l’ingiallito argento a squadre di Amsterdam 1928 ottenuto dalle farfalle di Pavia).

 

Era sbarcata a Londra rigenerata, motivata, finalmente libera di mente, sgombra da cattivi pensieri. Entra nell’arena in perfette condizioni fisiche, dopo i dannati guai al piede e a quella maledetta tallonite che a Pechino ne avevano bloccato l’apoteosi. Sei anni dopo l’indimenticabile mondiale di Aarhus, la nostra capitana era finalmente riuscita a risalire su quei livelli. I suoi livelli. Quelli da vera campionessa. Ci arrivava da vecchietta come ha ripetuto più volte. In più di un lustro la ginnastica cambia, si evolve, mutano i codici, arrivano le nuove leva. Affamate come lo era lei a sedici anni.

Vane, però, lo era anche oggi, pronta a mangiarsi il suo amato tappetone, quel quadrato 12×12 che le ha regalato tante gioie. La grinta, la rabbia la voglia è sempre la solita. Quella della leonessa, quella da Caporal Maggiore, in una finale olimpica di livello altissimo, con il meglio del Mondo a circondarla. Parte da un altissimo 6.2. Una bellissima performance sulle note de L’ultimo dei mohicani, composta da Trevor Jones e scelta personalmente dalla bresciana dopo che per anni aveva mantenuto il Nessun dorma di Puccini che le aveva consegnato l’iride in Danimarca. Tsukara avvitato, dicevamo. In prima diagonale, a freddo. Ben eseguito con grande potenza e un piccolissimo saltettino in avanti. Tsukara con salto indietro combinato senza nessuna pausa. Poi un enjambe cambio, un avvitamento e mezzo con delle parti coreografiche di livello. Serie ginnica con un gogean e poi il Ferrari (sì, lei sarà per sempre nella lista dei movimenti!). In ultima diagonale rondata, flick, avvitamento ma non combina l’ultimo salto che le avrebbe regalato un decimo in più. Non se l’è sentita. Credeva che potesse bastare così. La statunitense Aly Raisman era scappata via con 15.600 (mezzora prima aveva soffiato il bronzo alla Ponor nella finale alla trave dopo aver esposto un ricorso…).

 

La ventunenne si gioca sicuramente l’argento con Catalina Ponor. Un monumento della ginnastica, mondiale, la rumena che fu reginetta ad Atene con ben tre ori. 15.200 (con alcune imperfezioni per delle gambe larghe in alcuni frangenti) per la venticinquenne che si era ritirata nel 2007 salvo ripensarci e tornare dopo Pechino. La Ferrari si ferma a 14.900, lo stesso risultato della qualifica (un decimo perso durante la prima diagonale, un altro nella terza, più il decimo per la mancata combinazione nell’ultima). Beh, potrebbe comunque bastare. Se non arrivasse Aliya Mustafina. Il suo esercizio è tutt’altro che perfetto, senza grandi evoluzioni come invece aveva fatto l’azzurra, ha uno stile molto curato nelle fasi artistiche, un buon balletto ma finisce lì. Non per i giudici che le regalano 14.900 e la quarta medaglia di questa rassegna. Stesso punteggio di Vanessa. Ma la storia è risaputa: a pari punti non si va in due in podio. Si considera la miglior esecuzione: la russa prende 9, l’italiana 8.7. Amaro in bocca. Una grande beffa. Che non può non far piangere la nostra Campionessa, delusa da una doppia ingiustizia, per una medaglia, per un gradino del podio che era tutto suo. Un tricolore ci stava tutto. A replicare il bel bronzo di Matteo Morandi, per vendicare ancora una volta Alberto Busnari. Niente da fare. La caduta della grande Izbasa, ultima a scendere in campo, fa mangiare di più ancora le mani. L’azzurra poi, con occhi lucidi, dichiarerà: “Io ho fatto un esercizio buono. Lei altrettanto. Meritavo il punteggio della seconda. Ma evidentemente l’Italia in questo sport è poco considerata“.

 

Vai avanti Ragazza dal Grande Cuore! Gamba ancora una volta! Sei tornata, non farti abbattere! Non ora, non adesso! Continua a mostrare di che pasta sei fatta!

 

In precedenza la cinese Deng Linlin aveva vinto il concorso alla trave con 15.600, lei che era la campionessa mondiale del 2009 e che da quel momento non era più riuscita a raggiungere grandi risultati. Doveva essere una finale di altissimo livello e invece è stata la sagra dell’errore. Cade Larisa Iordache, talentino rumeno, qualificata qui grazie a un cambio con una connazionale. Doveva spaccare tutto a Londra ma una fascite plantare l’ha limitata tantissimo. Sembra la storia di qualcun’altra. Purtroppo. La imitano la Komova, russa seconda nell’all-around, e la nuova campionessa individuale, Gabby Douglas, lo scoiattolino volante. Seconda allora la cinese Sui Lu, iridata in carica (15.500), davanti a Aly Raisman (15.066) che dopo un ricorso ha soffiato il bronzo alla Ponor (stesso punteggio ma peggior esecuzione).

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