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‘Italia, come stai?’. Insigne e il messaggio di Prandelli: o i giovani o il declino!

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Forse Lorenzo Insigne non ha ancora avuto il tempo di meritarsi la nazionale italiana. Il talento non si discute, ma una strepitosa annata in Serie B e due sole partite da titolare in A non bastano per essere catapultati direttamente nella selezione vice-campione d’Europa.

Eppure la convocazione del 21enne scugnizzo partenopeo riveste un valore inestimabile, quasi simbolico. Cesare Prandelli ha voluto lanciare un messaggio ai club ed al calcio italiano in generale: “I giovani di casa nostra ci sono e sono bravi. Possiamo contare su di loro e non è necessario pescare all’estero per costruire delle rose competitive, anzi. Io nelle nostre giovani speranze ci credo e mi ci affido sin da subito, senza paura. E voi?”.

Il commissario tecnico, già attuatore di una compiuta Rivoluzione Copernicana del nostro calcio con una selezione tricolore che per la prima volta ha compreso che può e deve imporre il proprio gioco, ha lanciato un grido d’aiuto: il calcio italiano, per rilanciarsi nelle coppe europee e garantire una continuità ad alti livelli anche alla nazionale, deve invertire decisamente la rotta. E’ proprio il caso di dire: ora o mai più.

Il livello di allarme è scattato già durante lo scorso campionato, quando il numero complessivo di stranieri nei club ha superato per la prima volta quello degli italiani. Anche il mercato estivo appena concluso, purtroppo, ha confermato la tendenza.

Nel nostro Paese si fatica a dare fiducia ai giovani e spesso, anche quando accade, lo si fa con riserva: “E’ bravo, può sfondare, ma….non è il caso di bruciarlo. Aspettiamo”. Gli anni passano e di conseguenza il giovane da grande talento diventa un calciatore mediocre ed incompiuto. Non si comprende, tuttavia, perché questo modo di pensare riguardi solo gli italiani, dato che le squadre attingono a piene mani stranieri sotto i 25 anni. La ricerca dell’esotico, del nome intrigante con desinenza in -inho, -0s, -es, etc. che scalda le fantasie dei tifosi, non è di certo la miglior strada da seguire. Quante volte, infatti, abbiamo visto approdare in Italia calciatori a cui i talenti di casa nostra non hanno proprio nulla da invidiare? Forse nell’80% dei casi. Facciamo qualche esempio. La Fiorentina (che ieri schierava appena due italiani in campo, Viviani e Pasqual) ha rivoluzionato la difesa infarcendola di sud-americani (Roncaglia, Rodriguez), balcanici (Savic e Tomovic) e nord-africani (Hegazy). La sesta scelta (dunque con posto fisso in panchina) sarà Michele Camporese, classe 1992 ed uno dei prospetti più interessanti del nostro calcio. Il suo difetto? Probabilmente l’essere italiano.

Emblematico poi il caso dell’Inter (ieri con i soli Ranocchia e Cassano in campo, a meno che non vogliamo considerare italiano anche il ‘naturalizzabile’ Silvestre), che ha coltivato in casa due fenomeni come Destro e Balotelli per poi disfarsene senza troppi pensieri (e puntare sui vari Coutinho e Castaignos…). A quanto pare i nerazzurri non hanno ancora imparato la lezione: il promettente attaccante Samuele Longo è stato mandato in prestito all’Espanyol, dove ha subito debuttato con un gol superlativo. Riuscirà il nostro giovane eroe a tornare in Italia e vestire da titolare la maglia dell’Inter? I precedenti non inducono all’ottimismo…

Fortunatamente esistono alcuni club che mostrano con i fatti di credere nei calciatori autoctoni. Intrisa da una forte identità italiana è la Juventus, con Buffon, Barzagli, Chiellini, Bonucci, Pirlo, Marchisio e Giovinco che rappresentano anche la spina dorsale della nazionale. In più vi è in rampa di lancio anche il giovane Luca Marrone, senza contare che la società di Corso Galileo Ferraris ha già investito su due giovanissimi come il difensore Masi ed il portiere Leali: se tutte le società si comportassero in maniera similare, i problemi del calcio italiano sarebbero risolti. Tra le virtuose citiamo anche Milan (più italiano dopo gli addii di Ibrahimovic e Thiago Silva), Torino, Pescara, Bologna, Siena, Parma, Atalanta e Cagliari. Multinazionali con troppi stranieri sono invece Udinese, Palermo, Genoa, Lazio, Sampdoria, Catania, Chievo e Napoli, mentre la Roma di Zeman costituisce una via di mezzo con tre giocatori nel giro della nazionale (Balzaretti, Osvaldo e Destro) ed uno in rampa di lancio (Florenzi).

Cosa fare, dunque, per invertire la tendenza? Ce lo dice Prandelli: non avere paura di puntare forte sui nostri giovani talenti. Con Insigne e Destro il ct di Orzinuovi vuole costruire un attacco che, insieme al pilastro Balotelli, potrebbe rivelarsi letale ai prossimi Mondiali. Per farlo, però, dovrà far giocare i giovani e riconfermarli anche dopo una prestazione opaca: ecco, la pazienza è un’altra virtù che il tecnico azzurro vuole insegnarci.

Chi ha intrapreso una nuova strada è la LegaPro, dove l’impiego dei giovani viene invogliato da incentivi economici federali e dove i team lanciano in prima squadra le nuove leve per contenere costi che sarebbero insostenibili nella situazione attuale. Ecco che dunque la cura dei vivai torna ad essere maniacale e studiata nei dettagli.

Ci piacerebbe che le squadre in Serie A in estate acquistassero giocatori italiani di Serie B e LegaPro piuttosto che cileni, svedesi e serbi di dubbio valore. Il calcio è (e forse lo rimarrà sempre) lo sport più praticato in Italia, dunque il materiale umano, fortunatamente, difficilmente verrà a mancare. Se però si tarpano le ali dei nostri giovani, allora il declino prima dei club e poi della nazionale sarà lento e inevitabile. Prandelli questo lo sa e ci ha lanciato un messaggio di aiuto. Per il bene del nostro futuro, ascoltiamolo.

 

federico.militello@olimpiazzurra.com

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