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Ciclismo
Edoardo Salvoldi: “Agli Europei faremo bene”
Lo chiamano Re Mida per le tante medaglie vinte, ma lui, da buon bergamasco, non passa troppo tempo a ripensare alle glorie del passato, preferendo concentrarsi sulle nuove sfide: stiamo parlando di Edoardo “Dino” Salvoldi, commissario tecnico del settore strada e pista femminile. Nato a Vaprio d’Adda, metà strada tra Milano e Bergamo, il 7 giugno di 41 anni fa, collabora con la Federciclismo sin dal 1994, poco dopo aver appeso la bicicletta al chiodo. Le sue ragazze non hanno quasi mai tradito, tra Europei, Mondiali e Olimpiadi: andiamo dunque alla scoperta di uno dei tecnici più vincenti dell’intero panorama sportivo.
Signor Salvoldi, quante sono in totale le medaglie vinte? Ce n’è una a cui si sente particolarmente legato?
“Premetto che non sono molto attento a questi numeri, anzi, provo sempre un certo imbarazzo a parlarne. Ai fini statistici, comunque, dovremmo essere arrivati a quota 120. Ogni risultato racchiude per me aneddoti e peculiarità uniche, soprattutto quelli raggiunti al termine di un lungo progetto. Se dovessi proprio scegliere il momento più emozionante, direi l’oro di Antonella Bellutti nella corsa a punti di Sydney 2000”.
Quanto è importante essere commissario tecnico unico del settore femminile, sia del settore strada, sia del settore pista?
“E’ senza dubbio fondamentale poter riunire le responsabilità di entrambi i settori. Per come siamo ciclisticamente strutturati in Italia, una divisione comporterebbe una dispersione di potenzialità sia su strada, sia su pista. Ha grande importanza anche la continuità, che nel maschile talvolta è venuta meno, mentre noi siamo stati più fortunati in questo senso”.
Proprio la pista è uno dei punti dolenti del nostro movimento ciclistico: come vede questa situazione, anche alla luce dei freschi e brillanti risultati ottenuti all’esordio in Coppa del Mondo?
“Oltre alle evidenti difficoltà interne che conosciamo bene, ritengo personalmente che siamo stati vittime di alcune decisioni avallate dall’UCI su spinta della federazione britannica, ovvero quelle che hanno fatto propendere il settore verso specialità poco affini alla strada. Questo si è rivelato particolarmente grave per noi, perché proprio la strada è, storicamente, il bacino d’utenza da cui attingiamo maggiormente anche per la pista”.
Quali sono le prospettive del nostro terzetto femminile, che ha fatto il record italiano nell’inseguimento e si è subito imposto in CdM?
“Abbiamo un gruppetto di 5 atlete sotto i 23 anni, con buone potenzialità e soprattutto notevoli margini di miglioramento. Vogliamo arrivare ad avere un gruppo stabile di almeno otto elementi, integrato di volta in volta dalle atlete del settore junior con il quale stiamo collaborando in grande sintonia e razionalità. Nel dettaglio, per il nostro terzetto la distanza dal vertice della specialità è ancora notevole, ma continuando ad applicarci con impegno e professionalità potremmo ottenere belle soddisfazioni. Vorrei portare queste ragazze a Rio 2016, quando il terzetto dovrà diventare un quartetto sui 4 km”.
Cosa ci dice di una ragazza come Giulia Donato, che sembra in grande crescita ultimamente?
“E’ una ragazza che conosciamo sin da piccolina, ha notevoli potenzialità sul piano atletico e un’attitudine specifica per alcune discipline della pista. Insieme a lei, puntiamo a migliorare la sua capacità di resistenza allo sforzo e alcuni, piccoli aspetti tattici e tecnici”.
Quali obiettivi si pone in vista degli imminenti Europei in Lituania?
“C’è grande rinnovamento all’interno di tutte le nazionali, questa volta però non vogliamo essere semplici comparse. L’obiettivo primo è cercare di strappare i pass in anticipo per i Campionati del Mondo di febbraio, a Minsk. Certo, non nascondo che mi piacerebbe raggiungere con le ragazze almeno un podio”.
Per quanto concerne il settore strada, come vede il ricambio che sta avvenendo attualmente?
“E’ un processo condiviso e agevolato da un gruppo davvero fantastico, che non ha paura del rinnovamento e che, con la maglia della nazionale, ha sempre fatto grandi cose. Sono davvero molto soddisfatto”.
Qual è il rimpianto più grande in questi anni di guida della nazionale?
“Non tanto le vittorie attese e poi mancate, quanto piuttosto l’aver perso tempo prezioso, in certe occasioni, per costruire un modello funzionale e vincente, soprattutto per motivi burocratici e instabilità della componente politica al momento del rinnovo delle cariche”.
Com’è nata la sua collaborazione con la Federciclismo?
“In modo abbastanza casuale: nel 1994, ero studente dell’ISEF a Milano e il CONI chiese alle federazioni sportive di affiancare alcuni insegnanti di educazione fisica ai tecnici federali. Ovviamente, l’aver praticato ciclismo a livello giovanile mi ha agevolato: mi cercarono Mario De Donà, allora CT del settore femminile, e il suo collaboratore Norberto Radaelli. Da lì, iniziò la bella storia che continua ancora oggi”.
Metà anno su strada, metà su pista: non si ferma proprio mai Edoardo Salvoldi?
“In realtà non è un lavoro diviso a metà, perché il segreto sta proprio nel conciliare entrambi i settori in ogni momento della stagione. Comunque no, non ho alcuna intenzione di fermarmi, ho ancora tanta voglia e tanta passione!”
foto tratta da pedaletricolore.it
marco.regazzoni@olimpiazzurra.com