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Italrugby: l’analisi del novembre di fuoco

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Spesso sentiamo dire che ‘tre indizi fanno una prova’, per indicare un determinato avvenimento, o un cambiamento. In questo caso, però, ci sembra alquanto ragionevole modificare il sopraccitato detto in ‘tre prove fanno un indizio’, perché quando si parla di Italrugby è pur sempre preferibile andarci con i piedi di piombo. La nazionale ha piacevolmente stupito nei test match novembrini, ma tutto ciò non può che essere solo l’inizio di un’ulteriore crescita, da continuare a programmare con umiltà, anche perché una precoce esaltazione non porterebbe assolutamente nulla di buono.

E pensare che la prima sfida contro Tonga sembrava profilare, per gli azzurri, un mese infernale, dopo la poco convincente prestazione di Brescia. Un incontro forse sottovalutato, dove era emersa, invece, tutta la pericolosità sul piano fisico e atletico degli isolani, dominatori nel primo tempo e mai realmente piegati nel secondo. Una partita vinta dall’Italia. Con qualche stento di troppo, ma vinta. E un’Italia brutta ma capace di assicurarsi la vittoria forse non l’avevamo mai veduta. Prima prova.
Per Jacques Brunel, però, il vero obiettivo era un altro ed era ben impresso nella sua mente transalpina: fare la partita e imporre il proprio gioco a qualunque avversario ci si trovi di fronte, anche se si chiamano All Blacks. Contro i Campioni del Mondo, gli azzurri hanno messo la partita proprio su questi binari, attaccando ogni qualvolta si presentasse l’occasione e non rinunciando mai ad aggredire i neozelandesi. Anche quando la benzina nel serbatoio era ormai agli sgoccioli, anche quando sarebbe bastato nascondere l’ovale agli avversari, sovente in difficoltà nel corso del match. E il largo divario finale non può che essere attribuito all’insistente ricerca di punti in fase offensiva, nonché ad una tenuta fisica che permette gli azzurri di mantenere una certa intensità soltanto per  60′. Seconda prova.
Con l’Australia, poi, era l’esame decisivo, nel quale si poteva perfino strappare una vittoria epica, con dei Wallabies davvero ai minimi storici.  30′ shock, dove l’Italia ne ha combinate di tutti i colori, hanno però vanificato la splendida prestazione della ripresa, quando gli azzurri hanno assunto il pieno controllo del match senza mai lasciarlo, fino all’80’. Un lasso di tempo in cui la Banda Brunel ha prodotto un gioco addirittura migliore rispetto alla gara contro gli All Blacks, sottomettendo gli evanescenti australiani. Terza prova.

Tre prove nette, evidenti, inconfutabili, che portano ad un solo ed unico indizio: l’Italia, in futuro, può aspirare a risultati di rilievo.  Certo, ci sono ancora varie lacune da colmare, a partire dallo scarso cinismo in zona punti per arrivare ai trequarti, ancora non al livello degli uomini in mischia. Per questi ultimi sembra non arrivare mai il tanto atteso salto di qualità, il quale permetterebbe a Brunel di sperimentare anche quel rugby latino che tanto vorrebbe inculcare nella mentalità italiana. E tra i trequarti non sembrano mancare i giovani di belle speranze, soprattutto tra le due franchigie celtiche, a partire da quel Leonardo Sarto che tanto bene sta facendo con la maglia delle Zebre, passando per Luca Morisi e Angelo Esposito del Benetton Treviso. Promesse che sembrano destinate ad avere un futuro in maglia azzurra, come potrebbero avere una chance gente come Filippo Ferrarini (di professione flanker), sempre più convincente tra i bianconeri e quell’Alberto Di Bernardo che forse più di tutti meriterebbe di essere testato in palcoscenici del genere. Per la questione-cattiveria il tempo è l’unica medicina e speriamo ne serva il meno possibile; arrivare al prossimo Sei Nazioni con la giusta dose di spregiudicatezza negli ultimi 5 metri potrebbe risultare decisiva in molti incontri. E magari cambierebbero anche gli obiettivi, anzi, l’obiettivo. Finora si è sempre puntato ad evitare il cucchiaio di legno o, ancor peggio, il cosiddetto Whitewash – affibbiato alla squadra sconfitta in tutte le partite – riversando anima e corpo nel match contro la Scozia. Chissà che, dal prossimo febbraio, qualcosa possa finalmente cambiare.

Foto: sport.sky.it

daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

1 Commento

  1. Federico Militello

    27 Novembre 2012 at 11:52

    Sul cucchiaio di legno ci sono stati molti equivoci in passato, infatti si assegna alla squadra che arriva ultima in classifica.
    L’Italia, quest’anno, può battere Galles e Scozia e giocarsela con Irlanda e Inghilterra. Possiamo sognare il podio.

  2. Chosenone

    26 Novembre 2012 at 19:42

    P.S. Mi sembra di capire che anche voi intendete che il cucchiaio di legno del 6 Nazioni sia sempre “assegnato” a chi arriva ultimo, non solo a chi le perde tutte; confermate? Spesso i quotidiani italiani fanno confusione, ma mi sembra che nei paesi anglosassoni l’interpretazione sia questa.

  3. Chosenone

    26 Novembre 2012 at 19:38

    La cosa che mi ha sorpreso di più (in positivo) del match di sabato con i Wallabies, e che mi fa più sperare in un miglioramento in vista del 6 Nazioni, è la tenuta fisica e mentale nell’arco di tutta la partita. Di solito contro avversari superiori si parte bene, si regge per circa un’ora, poi il divario si amplia implacabilmente nei minuti finali; era sucesso anche contro la Nuova Zelanda. Invece stavolta addirittura abbiamo sfiorato la rimonta, peraltro proprio a termine di questa durissima serie di test-match, una grossa svolta secondo me rispetto al passato. Se riusciremo, nel 6 Nazioni, ad arrivare a giocarcela punto a punto fino ai 10-15 minuti finali, poi può succedere di tutto..

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