Boxe
Cammarelle, un argento che vale oro?
Torniamo con la memoria all’Excell Exibition Centre: è il 12 agosto, sul ring salgono i due contendenti per l’oro olimpico nella categoria dei supermassimi.
All’angolo blu l’enfant du pays, l’uomo da cui i britannici attendono il terzo alloro nella boxe, colui che qualcuno sussurra potrebbe essere the new big thing, il nuovo Lennox Lewis: un ragazzone di due metri per un quintale, di origine nigeriana, cresciuto nell’east inglese e trasferitosi a Londra a 14 anni; un ragazzo, che come nelle migliori tradizioni di epica pugilistica, ha assaggiato anche il carcere e una squalifica per possesso di stupefacenti. Anthony Oluwafemi Olaseni Joshua sale su un ring per la prima volta solo cinque anni prima, quando suo cugino porta all’età di 18 anni al Finchley ABC consegnandolo nelle mani di Sean Murphy, un bel coach tutto nervo, che ha appreso il mestiere a sue spese e che aveva come massimo risultato un titolo del Commonwealth di cui va fiero come solo un inglese sa fare.
All’angolo rosso il campione olimpico in carica: “Il signore del ring” un uomo maturo. Una moglie e un figlio. Maturo sia fisicamente che tecnicamente, ma soprattutto spiritualmente. Roberto Cammarelle si differenzia dalla scuola campana del pugilato italiano che porta ben 5 boxeur su 7 a Londra. Lui è nato a Cinisello Balsamo in provincia di Milano, da genitori di origine lucana: figlio di emigrati, come il suo avversario. Mentre Joshua porta sul ring l’entusiasmo e la grinta dei primi cazzotti importanti, Roberto ha dalla sua anni di carriera, l’esperienza, la conoscenza della nobile arte pugilistica e dei trucchi del mestiere. Un’esperienza testimoniata da una bacheca stracolma di medaglie, tra cui spiccano due ori mondiali, un oro e un bronzo olimpico.
Scoperto da Biagio Perri, il “Rocky Marciano di Cinisello Basamo” viene accompagnato sul quadrato olimpico da Francesco Damiani, uno che di pesi massimi ne capisce. Uno che si è allacciato la cintura di campione del mondo quando anche le sigle minori contavano più di quanto contino oggi le maggiori. Uno che avrebbe dovuto combattere con Holyfield e Tyson, poi non se ne fece nulla. Argento olimpico a Los Angeles,e per un destino bizzarro defraudato dell’oro dalla “peggiore decisione che io abbia mai visto in tutti i miei anni di commentatore“, come disse Harry Carpenter dai microfoni della BBC.
Cammarelle e Joshua. I due si erano già incontrati un anno prima ai quarti dei mondiali di Baku, aveva vinto Joshua di frescezza e riflessi, era uscito nella seconda ripresa con attacchi a due mani in controtempo, dopo un match guidato al centro del ring dal campione olimpico.
Roberto sa che non sarà un incontro facile, ma certo non ha intenzione di abdicare mestamente. La folla è caldissima e scandisce ritmicamente Jo-Shu-A-Jo-Shu-A.
Si inizia, Roberto come a Baku prende il centro del ring. Ci sono alcuni intensi scambi di “carezze” ma prevale lo studio dell’avversario. Il campione non abbassa più la guardia a sfidare il giovane leone, dopo esser già stato battuto, se non lo teme quantomeno lo rispetta. Cammarelle porta comunque a spasso per il ring il britannico e lo colpisce col destro per poi rincarare la dose col sinistro. Il finale di ripresa si accende e il pugile milanese riesce a terminare in maniera convincente. Si aggiudica la ripresa per 6 punti a 5.
Nel secondo round lo scenario è quello oramai noto, l’italiano al centro a menare le danze e Joshua a spasso per il quadrato cercando di entrare in controtempo. Roberto però ha imparato la lezione di Baku e chiude la guardia con prudenza, e quando Joshua prende le mosse è proprio il nostro pugile che entra nella guardia dell’inglese con dei destri precisi. Gli attimi prima del gong sono fatti di intensi scambi e colpi andati a vuoto da parte di entrambi i giganti su ring. Sul finale Cammarelle abbassa spavaldo la guardia quasi a sfidare il contendente.
I guidici assegnano altri due punti di vantaggio al lombardo, in un round dove comunque il britannico non sembra affatto vicino alla resa.
Ora il campione olimpico è a un passo dal bissare il successo di Pechino, ma sa benissimo che l’ultimo round sarà di un intensità drammatica, non potrà fare melina, lo sa lui, lo sa Damiani e lo sa la folla dell’Exibition Centre.
Joshua parte all’attacco, prende per la prima volta lui il centro del ring. Roberto non ci sta e sfida l’anglo-nigeriano a volto aperto. La furia agonistica dell’ingese accompagnata dal tifo del pubblico porta l’italiano a provare a legare per approfittare di una maggiore maestria ed esperienza. Nonostante ciò Joshua è obiettivamente di un’aggressività superiore con Cammarelle a cercare di contenere l’onda. L’italiano combatte però valorosamente. Non si chiude e nella parte centrale della ripresa accetta, forse anche troppo, lo scambio. Joshua sa che deve attaccare e lo fa. Il pubblico si esalta, Roberto paga forse un po’ anche quei dieci anni di differenza tra i due.
Termina un bellissimo match. I giudici, forse un po’ trascinati dall’andamento dell’incontro, esagerano e assegnano 3 punti di vantaggio a Joshua. Il match è pari.
Però è uno che deve vincere, non ci sono compromessi: dunque la boxe, che già ha un sistema di punteggio assai discutibile, ricorre ad una delle regole più cervellotiche e discutibili del panorama sportivo, ovvero il tie- break. Vengono eliminati i punteggi più alti e quelli più bassi di 5 giudici rendendo validi ai fini del risultato solo quelli dei rimanenti tre.
L’arbitro chiama al centro del ring i due ragazzoni figli di immigrati e alza il braccio di quello nero, dell’idolo degli inglesi…dello spacciatore, un giorno. Oggi, del campione olimpico.
Si è fatto un gran parlare di come il match sia stato “rubato” al nostro pugile, a parer mio si è trattato di un incontro molto equilibrato che Cammarelle avrebbe sicuramente potuto vincere. Per citare il grande Rino Tommasi, sul mio personalissimo cartellino aveva forse un punticino di vantaggio, un punto di troppo gli è stato forse dato nel secondo round e uno gli è stato levato nel terzo. Tutto sommato siamo lontani dai veri e propri furti con scasso di altri match. Qualcuno lo ha addirittura paragonato all’incontro di Nardiello a Seul, mi sembra un’operazione dal punto di vista dell’onestà intellettuale errata. Forse è la boxe stessa però ad essere colpevole, tramite il baraccone delle sigle, i match venduti, un sistema di punteggio complicatissimo e molti verdetti ai limiti del ridicolo la nobile arte ha talmente perso di credibilità che siamo tutti un po’ prevenuti. Quando poi si parla di un nostro atleta contro uno di casa e magari di una rimonta di tre punti all’ultimo round gli ingredienti per gridare al complotto ci sono tutti.
Nella mia mente resta però, un’immagine: l’intervista del dopo incontro del gigante di Cinisello Balsamo, quando tutti si aspettavano parole piene di rimpianto e magari rabbia, Roberto aveva invece la serenità di chi ha combattuto l’ennesima battaglia con sacrificio, onore e nobiltà di spirito e, seppur non comprendendo a fondo il verdetto, accettava il risultato da grande campione qual è.
danilo.patella@olimpiazzurra.com