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Atleti di Stato e gruppi sportivi militari: il sistema migliore?
Carabinieri, finanzieri, poliziotti, guardie forestali. Gli atleti italiani sono quasi tutti in divisa, quasi tutti portano un distintivo. Un’anomalia rimasta esclusivamente italiana dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che dice tanto sullo stato di salute dello sport nello Stivale.
Il problema è uno solo e ha residenza a Roma. Di governo in governo, di parlamento in parlamento, le finanziarie hanno sempre privilegiato la Difesa, costantemente al primo posto per risorse economiche erogate, mentre lo Sport, quel ministero piccolo piccolo accorpato ad Affari regionali e Turismo. E allora ecco che il Coni non ha i soldi, le società sportive nemmeno, mentre ai gruppi armati, certamente, non mancano.
In un quadro così drammatico, forse non è un bene avere degli atleti di Stato, pagati dai corpi armati e dalla forze dell’ordine, ma certamente rappresenta il male minore. L’alternativa, purtroppo, è la morte dello sport. Quello che spesso sfugge è che si parla di ragazzi che passano giornate intere in palestra, si allenano mattina e sera e hanno ben poco tempo per lavorare. Fare lo sport ad altissimi livelli richiede dei sacrifici, è dilettantismo sotto il profilo economico, ma non sotto quello dell’impegno. Percepiscono stipendi che vanno dai 1.000 ai 1.400 euro al mese, e non hanno alcuna possibilità di fare carriera. «Bisognerebbe prendere parte a corsi lunghi e impegnativi, e non abbiamo il tempo», ha spiegato Paolo Pizzo, campione del mondo di spada e atleta dell’Aeronautica militare.
Sarebbe certamente meglio se a pagare gli atleti fossero solo gli sponsor e le società sportive di appartenenza, come avviene negli Stati Uniti e in altri Paesi. Ma in Italia, qualsiasi sport che non preveda come scopo finale il buttare la palla in una rete, fa fatica anche solo a sopravvivere, figuriamoci se dovesse permettere di vivere una vita dignitosa ai suoi campioni. In tutto questo lo Stato ha molte responsabilità, ma nemmeno il Coni è esente da colpe. Dei 414 milioni messi a disposizione dal governo nell’ultimo anno, ben 53,1 sono stati destinati al calcio (leggi l’approfondimento). Il 12%, tanti, ancora troppi. Eppure la tendenza è quella di un taglio progressivo dei contributi al ricco mondo del pallone. Occorre una riforma del sistema e alcuni segnali in questo senso sono già arrivati. Non resta che aspettare e sperare.
gabriele.lippi@olimpiazzurra.com
Twitter: GabrieleLippi1
Foto: Getty