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Sport & Cinema, l’Allenatore nel pallone: se il calcio ride di sé
B-movie, commedia all’italiana tra le ultime di una generazione di film capaci di far ridere con la forza della comicità demenziale, autentico cult della storia del cinema italiano. L’Allenatore nel pallone è tutt’altro che perfetto, ma è proprio grazie ai suoi difetti che è diventato speciale.
L’improbabile storia di Oronzo Canà (Lino Banfi), allenatore della provincia di Foggia che un curriculum mediocre in serie B, ingaggiato da Borlotti, presidente (tutt’altro che improbabile, purtroppo) della Longobarda neo promossa in serie A, per far retrocedere la squadra. Nel film si mescolano, sotto la forma di caricatura, tanti degli ingredienti del calcio italiano dei primi anni ’80. Accordi tra allenatori e dirigenti per accomodare partite, risultati scritti sulle scrivanie prima che sul campo, giocatori senza scrupoli e dignità sportiva, pronti a perdere e a vendersi al miglior offerente.
In tutto questo, però, l’ingrediente pazzo, la mina vagante, è rappresentata da un giovane ragazzo brasiliano, Aristoteles (l’attore svizzero Urs Althaus), ultima spiaggia di un assurdo viaggio di Canà a Rio, al fianco dei sedicenti procuratori Andrea Bergonzoni e Giginho (Andrea Roncato e Gigi Sammarchi). Canà vola in Brasile all’inseguimento di un campione per la sua Longobarda, si fa operare d’appendicite per conoscere Socrates ma finisce, per equivoco, sotto i ferri di un omonimo del grande centrocampista che avrebbe poi firmato per la Fiorentina, ‘perde’ anche Junior, che andrà al Torino, e alla fine si ritrova in un campetto ad ammirare le gesta di un ragazzo sconosciuto.
Aristoteles arriva in Italia e soffre di saudade. Mentre i veterani della squadra, col capitano Speroni in testa, lo emarginano all’insegna del più becero nonnismo, trova nella famiglia del suo allenatore le motivazioni per andare avanti. Ma il presidente Borlotti vuole la squadra in B, e chiede a Canà di perdere l’ultima partita di campionato e lasciare in panchina il campioncino brasiliano. Se eseguirà avrà il rinnovo del contratto a ingaggio raddoppiato, altrimenti sarà disoccupato. Canà soffre e si sente «come uno che ha appena ingoiato una tonnellata di merda: pesante da digerire», ma esegue, fino a che la figlia Michela, fidanzata con Aristoteles, non lo convince a giocarsela fino in fondo. Il brasiliano entra e cambia la storia della partita, del campionato, della Longobarda e di Canà.
L’allenatore è licenziato ma felice: ha salvato la squadra, i tifosi, che l’hanno massacrato per buona parte dell’anno lo portano in trionfo, ha dimostrato che la sua bi-zona e il suo 5-5-5 funzionano e possono competere anche con il grande Barone Niels Liedholm. È il trionfo dello sport sul becero affarismo.
Il film richiama tanti temi di quegli anni, travolti dal primo scandalo calcioscommesse, alle prese con la riapertura delle frontiere ai giocatori stranieri, coi primi problemi di saudade di campioni che rendevano poco (lo stesso Socrates non riuscì mai a sfondare a Firenze e tornò presto in Brasile). A scherzare su questi temi, oltre a un cast di attori professionisti, anche diversi calciatori e allenatori in carne e ossa che si sono prestati al gioco: Ciccio Graziani, Roberto Pruzzo, Niels Liedholm, Picchio De Sisti, solo per citarne alcuni. Una sorta di operazione catartica per un calcio malato.
Quasi profetica infine la figura di Aristoteles, brasiliano naif poco avvezzo agli imbrogli. Il 24 gennaio 1999, 15 anni dopo il film, Bastos Tuta segnò il gol del 2-1 nello scontro salvezza tra Venezia e Bari. Lui e il connazionale Bilica furono gli unici a esultare, tra l’incredulità dei compagni di squadra e la rabbia degli avversari. Nel tunnel si sfiorò la rissa, Tuta parlò di risultato combinato, Maniero e il presidente Zamparini dissero che non aveva capito perché non parlava bene l’italiano, lui stesso ritrattò. Poi, a fine stagione, tornò in Brasile.
gabriele.lippi@olimpiazzurra.com
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