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Mondiali Schladming: i primi due giorni tra ombre e luci

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Oggi, a Schladming, ci sono “solo” le prove cronometrate delle discese, dunque nessuna gara che assegna medaglie: è il momento giusto per fare una riflessione su quanto si è visto in questi primi due giorni.

L’immagine che resterà nella mente di tutti gli appassionati, purtroppo, non è un gesto tecnico o una festa sul podio: è Lindsey Vonn a terra, che urla in modo agghiacciante, dopo una bruttissima caduta che le ha causato la rottura del piatto tibiale, del crociato anteriore e del collaterale mediale del ginocchio destro. Un volo drammatico: la campionessa americana arriva leggermente maldirezionata sul salto, atterra male sul piano (dove, oltretutto, la neve non è certo ghiacciata) e finisce a terra, costringendo il ginocchio a movimenti innaturali prima di fermarsi. Tutto questo avviene poco dopo le 15 pomeridiane: il supergigante femminile, infatti, aveva preso il via dopo 12 rinvii, alle 14.30. Ora, non sono tanto le condizioni in cui si è svolta effettivamente la gara a far discutere: la nebbia si era diradata, la neve non era certo ottimale, però in quel momento si poteva correre e c’erano condizioni omogenee per tutte, perlomeno sino ai pettorali immediatamente successivi al 30, perché poi la gara è stata definitivamente sospesa, impedendo alle ultime della start list di prendere il via. Ciò che ha fatto infuriare molte atlete e molti appassionati è stata l’attesa: ha senso far attendere per tre ore e mezza, al cancelletto di partenza o nei rifugi poco lontani, prima della partenza di una gara? Ci si rende conto di come sia difficile mantenere la concentrazione, la serenità necessaria per gareggiare in tutto questo tempo? Non era forse meglio riprogrammare la gara per un altro giorno? Che poi l’infortunio della Vonn sia una diretta conseguenza di questa scelta di gareggiare a tutti i costi non è così scontato, ma comunque la decisione presa dalla giuria FIS ha lasciato più di un dubbio. Il problema di fondo è che, come sempre, nelle questioni cruciali gli atleti non hanno rappresentanza, non hanno peso, non vengono considerati dalla federazione internazionale: e questo vale tanto per l’invenzione di nuove discipline (vedi team event o city event) o per le modifiche ai materiali, quanto per scelte ancora più delicate, come quella sul rinvio o sulla cancellazione di una gara.

In tutto questo, non deve passare in secondo piano il risultato della prova che, comunque, ha avuto un podio nobilissimo: oro a Tina Maze, a suggellare la stagione più straordinaria della sua carriera; argento a Lara Gut, il talento ritrovato quest’anno dopo qualche patimento; bronzo a Julia Mancuso, la “macchina perfetta” per i grandi eventi. E quarto posto per l’incredulo sorriso di Sofia Goggia, scesa quando ormai stava facendo buio, con la pista segnata, ma capace di stupire il mondo per la sua aggressività, per la sua voglia di rischiare, per l’assoluta naturalezza della sua sciata.

Nel maschile, invece, la gara di ieri ha avuto un esito a sorpresa: oro a Ted Ligety-lo si aspettava più che altro in gigante-, argento a Gauthier De Tessieres (sorpresa assoluta), bronzo ad Aksel Lund Svindal, dominatore della prima parte di stagione in questa disciplina. Tracciato stretto, neve infida, primi numeri a partire sicuramente avvantaggiati, azzurri lontani: come ha detto il direttore tecnico Claudio Ravetto, “il peggior risultato di squadra della stagione nella gara più importante”. In discesa, si spera, sarà un’altra musica.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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