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Rugby, Sei Nazioni: l’Italia e quel disperato bisogno di equilibrio

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Distrutti, umiliati, strapazzati, annichiliti. Tutti questi roboanti aggettivi sono usciti dalle penne di blogger e giornalisti nelle cronache e analisi del dopopartita di Scozia-Italia. Ma allora cosa è successo all’Italrugby? Qual’è la vera faccia degli Azzurri? Quella “straordinaria” e “strepitosa” o quella “catastrofica” di Murrayfield.  Probabilmente nè l’una nè l’altra, o forse entrambe.

La vittoria con la Francia non è, per fortuna, figlia di un giorno, ma si inizia a percepire il frutto di un lungo processo di sviluppo che, da Coste a Brunel, passando per Berbizier e Mallet, senza dimenticare tutti gli altri che sia prima che durante hanno contribuito a farci diventare una squadra,  ci ha portati a poter orgogliosamente per lo meno pensare di giocarcela con chiunque o quasi.

Dapprima l’apporto degli oriundi, l’innesto di know-how di tutti gli allenatori stranieri passati dalle nostre parti, l’esperienza dei nostri migliori all’estero e infine l’importantissimo bagaglio di competenze portato dal torneo celtico. Tutti questi elementi hanno contribuito nel tempo a creare l’Italia di oggi. Un’Italia che gioca a rugby, che può avere una giornata storta, che comunque parte ancora quasi sempre sfavorita (non bisogna scordarci che anche sabato per i book non partivamo coi favori del pronostico), ma soprattutto un’Italia che oggi può vincere contro qualsiasi squadra, un’Italia contro cui nessuno si può permettere di giocare col piede sollevato dall’acceleratore.

Brunel nell’arrivare aveva predicato equilibrio, quell’equilibrio di cui spesso si è parlato e riparlato nei giorni successivi alla vittoria di Roma. L’equilibrio di cui ha bisogno l’Italia non è però solo quello tra gli avanti e i tre quarti. Ci vorrebbe equilibrio in quasi tutti i settori del rugby italiano. Equilibrio tra l’alto livello della Pro12 e il professionismo o semi-professionismo del Campionato Italiano. Equilibrio tra vertice e base. Equilibrio nei rapporti club-federazione. Equilibrio anche nella gestione delle altre realtà vincenti del rugby italiano (sconfortante la polemica sui caps alle ragazze della nazionale). Equilibrio magari anche nel provare a costruire un rugby olimpico dignitoso (proprio nel fine settimana si sono disputate le World Series a cui l’Italia non partecipa). Ed infine ci vorrebbe tanto tanto equilibrio anche nelle valutazioni e nel metro di giudizio di stampa, addetti ai lavori ed appassionati.

Ma si sa, l’equilibrio è una dote che si raggiunge maturando, l’Italrugby sta crescendo ma non ha ancora raggiunto la maggiore età. I segnali sono però incoraggianti. La maturazione definitiva non avverrà però automaticamente. Il movimento deve accompagnare il rugby italiano verso la ricerca della stabilità che gli si richiede. Ma per un banale principio fisico la stabilità non può prescindere proprio dall’equilibrio.

danilo.patella@olimpiazzurra.com

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