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“Cogito, ergo sport”: i numeri che contano
Era il 1935 quando il filosofo tedesco Walter Benjamin scriveva che lo sport è cambiato rispetto all’antica forma agonale, quando la concorrenza era ancora tra uomo e uomo. Nei tempi moderni “una prescrizione stabilisce la misurazione, in secondi e centimetri, ai comportamenti umani. Non a caso si è detto che Nurmi corresse contro l’orologio.” Chi era quel misterioso Nurmi, tanto importante da essere citato negli scritti di un filosofo?
Finlandese volante, lo chiamavano: Paavo Johannes Nurmi che, dopo quasi un secolo, detiene ancora il terzo posto assoluto nel medagliere olimpico, dietro al nuotatore Michael Phelps e la ginnasta Larissa Latynina. Sarà anche vero che i numeri non sempre fanno la differenza: Leonida, l’eroe delle Termopili, sconfisse un esercito cento volte più grande del suo nel lontano 480 a.C. Appunto, non sempre. Ma nel caso in cui un ragazzo di appena 23 anni conquista 9 medaglie d’oro e 3 d’argento in soli 8 anni, riuscendo persino a vincere 2 gare (i 1500 e i 5000 metri) nel giro di 1 ora, forse i numeri cominciano a contare.
Nel 1920 Nurmi apre la corsa, la sua corsa, imponendosi come miglior fondista e mezzofondista degli anni Venti. Sono i Giochi di Anversa, poi quelli di Parigi e infine di Amsterdam che diventano il palco per l’esibizione del campione che rispondeva alle interviste dei giornalisti in latino (non conoscendo l’inglese).
Per i pitagorici il numero era l’armonia, principio ed essenza di tutte le cose; per Paavo Nurmi il numero divenne la base di una carriera coronata da successi, onorificenze (unico atleta maschile europeo assieme a Emil Zátopek ad essere presente nella Hall of Fame) e commemorazioni (l’addio con un funerale di Stato nell’ottobre del 1973). Forse Edwin Moses, ex atleta statunitense, si ispirò alla statua di Nurmi, posta dinanzi allo Stadio Olimpico di Helsinki, quando disse che un atleta in corsa è una scultura in movimento.
Di Chiara Mastrosani