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Governo e sport, “odi et amo”
Quando gli atleti italiani ottengono qualche risultato sportivo di prestigio, gli uomini politici più in vista del momento si sprecano con i complimenti e si prendono a volte dei meriti che non gli spettano. Lo sport, infatti, è spesso vissuto come uno dei tanti settori (al pari, in particolare, dei settori economici) in cui gli Stati del mondo sono in competizione fra loro ed è quindi un motivo di vanto vedere i propri atleti sopravanzare gli avversari del resto del pianeta. Se lo sport dà tanto prestigio ad un Paese ed al suo governo, sarebbe quindi importante finanziarlo in maniera ingente da parte del settore pubblico.
Ora, sui finanziamenti pubblici allo sport italiano abbiamo difficoltà ad esprimerci con precisione, visto che, nonostante la tanto sbandierata trasparenza, su internet sono difficilmente reperibili dei dati precisi sulle cifre. In particolare, il sito del Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport fornisce dati solamente parziali e relativi ad alcuni anni. Quello che ci colpisce, comunque, è l’accorpamento illogico e privo di senso tra “affari regionali, turismo e sport”, quasi come se fossero tre settori che erano rimasti lì, da soli, e quindi messi insieme a caso.
Se pensiamo all’instabilità politica in cui si trova l’Italia attualmente, logicamente la situazione non sembra poter divenire migliore. Certo, se pensiamo alle difficoltà economiche dell’Italia e di molti altri Paesi, dobbiamo constatare che lo sport resta un settore dei tanti, e non certo il più importante. Se dei tagli allo sport servissero ad avere un’istruzione ed una sanità pubbliche degne di tale nome, saremmo ben disposti ad accettarne le conseguenze. Peccato, però, che proprio l’istruzione e la sanità siano stati i settori più colpiti dagli ultimi due governi.
Il cambiamento che serve è molto più grande di qualche migliaio di euro in più o in meno assegnato allo sport da parte del governo. Il sistema economico mondiale, basato sul capitalismo finanziario, sta andando al collasso. Lo sport, nel suo piccolo, dovrebbe servire da esempio: limitiamo la competizione tra i Paesi al sano sport, ed abbandoniamo un sistema basato sulla competitività economica che porta per forza alla sconfitta di qualcuno a vantaggio di altri. E, soprattutto, abbandoniamo la competizione militare, che sottrae all’umanità risorse umane (anzi, vite umane) ed economiche che potrebbero essere impiegate in ben altri settori.
La situazione dell’“homo homini lupus” che continuiamo a vivere a livello globale è qualcosa di inaccettabile, la competizione economica che rende gli uomini nemici e sfruttatori dei propri simili non è più tollerabile: gareggiamo in pista, combattiamo sul ring e rivaleggiamo nei campi di gioco, per lasciare spazio alla cooperazione economica secondo un modello più equo e vantaggioso per tutti.
giulio.chinappi@olimpiazzurra.com