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Sci nordico: serve un cambio di mentalità per non sparire

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Sono molto contento della mia prova, ho fatto il massimo. E’ stata una bella esperienza, i tifosi sono stati fantastici e ci hanno sostenuto dal primo all’ultimo metro“. Grossomodo è questo il ritornello cui ci hanno abituato gli azzurri nelle interviste post-gara dei Mondiali di sci nordico della Val di Fiemme.

Sorrisi e soddisfazione hanno caratterizzato le prestazioni dei nostri atleti, sebbene sempre lontanissimi dalla zona podio. Leggiamo in questo atteggiamento un accontentarsi e, in sostanza, un “vivacchiare” che poco si confà con la tradizione dell’Italia in questo sport.

Salvo un improbabile miracolo della staffetta 4×10 km, la selezione tricolore chiuderà la rassegna iridata casalinga con zero medaglie, esattamente come 10 anni fa: evidentemente la Val di Fiemme non porta fortuna. Se un decennio fa, tuttavia, si assistette ad una serie di circostanze sfortunate (la squadra di sci di fondo era tra le migliori al mondo), questa volta un risultato di questo genere appariva probabile sin dalla vigilia.
Le speranze di medaglia erano affidate ad Evelyn Insam nel salto femminile (che nel corso della stagione, Takanashi ed Hendrickson a parte, ha più volte dimostrato di potersela giocare alla pari con chiunque), al team-sprint composto da David Hofer e Federico Pellegrino (quinti e non a caso i più vicini all’impresa) ed alla 15 km con partenza ad intervalli (dove è mancato l’atteso Roland Clara). Difficile chiedere qualcosa in più ad Alessandro Pittin nella combinata nordica, reduce da una serie troppo lunga di infortuni che in sostanza ne hanno compromesso ben due stagioni.

Se dunque i metalli preziosi si ergevano come obiettivi probabilmente fuori dalla portata degli azzurri, ci sarebbe però piaciuto vedere un atteggiamento diverso da parte loro. Accontentarsi, sorridere e, nel complesso, promuoversi non sono di certo gli ingredienti giusti per migliorare ed intraprendere una strada migliore. Al contrario, così facendo il rischio (concreto) è quello di rimanere nell’anonimato. Insomma, ci sarebbe piaciuto vedere gli azzurri delusi al traguardo, adirati con sé stessi, incapaci di darsi pace per non aver fatto di più davanti al proprio pubblico.

Se non si cambia atteggiamento, se si continua a pensare che il nostro livello è questo e non si può fare di più, il rischio è che lo sci nordico italiano sia destinato a sparire per sempre dalle posizioni che contano. Nella sua storia l’Italia ha vinto 52 medaglie complessive ai Mondiali, di cui 12 d’oro. La tradizione non si cancella, ma deve rappresentare uno stimolo per i più giovani. Basta volerlo. E non accontentarsi.

 

federico.militello@olimpiazzurra.com

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