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‘Italia, come stai?’: naufragio ciclismo, occasione persa in Davis

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Nessun azzurro tra i primi 20 nella Parigi-Roubaix, nessuno tra i 10 considerando anche il Giro delle Fiandre. Il ciclismo italiano esce con le ossa rotte dalle tradizionali Classiche del Nord, con eterne promesse mai sbocciate ed ormai avviate sul viale del tramonto ed un ricambio generazionale che procede a rilento.

L’unico italiano brillante nella gara vinta ieri da Fabian Cancellara è stato Luca Paolini, a lungo in lizza per un piazzamento di prestigio, prima che una foratura lo costringesse a delle posizioni di rincalzo. Stiamo parlando comunque di un 36enne che ha vissuto una strepitosa carriera da gregario e che solo da un paio di stagioni sta ricoprendo il ruolo di capitano alla Katusha in determinate corse come appunto Fiandre e Roubaix.
Bocciato senza attenuanti Filippo Pozzato (clicca qui per l’approfondimento di Marco Regazzoni), per il quale a quasi 32 anni le occasioni stanno ormai per finire. Con  Alessandro  Ballan fuori dai giochi ed in recupero da un grave infortunio, l’Italia per la campagna del Nord era tutta qui: una pochezza desolante. A dispetto dei buoni segnali mostrati nelle gare di avvicinamento al Fiandre, non è esploso l’atteso Oscar Gatto, mentre il giovane Daniel Oss si conferma un buon corridore, anche se ancora molto distante dalla possibilità di giocarsi la vittoria.
Certo, il Bel Paese ormai da oltre un decennio non riesce ad aggiudicarsi la Parigi-Roubaix. Eppure, dopo molti anni, questa volta si è partiti addirittura con la certezza assoluta che non si sarebbe potuto vincere in alcun modo.
I giovani talenti non mancano, tuttavia, a parte Moreno Moser e Diego Ulissi, l’impressione è che il loro processo di crescita sia più lento del previsto. Certamente faremo meglio nelle Classiche delle Ardenne (non che ci voglia molto, a dire il vero…), con Gasparotto (vincitore dell’Amstel Gold Race dello scorso anno), Cunego e gli stessi Moser ed Ulissi, ma anche in questo caso i favoriti saranno altri. L’unico campione vero del ciclismo italiano attuale è Vincenzo Nibali, esponente solitario di una generazione 1982-1986 che ha offerto effettivamente troppo poco al movimento. Lo Squalo dello stretto darà l’assalto alla Liegi-Bastogne-Liegi già sfiorata la scorsa stagione, prima di lanciarsi verso il vero obiettivo stagionale del Giro d’Italia dove dovrà vedersela con la maglia gialla del Tour Bradley Wiggins.
Nibali il campione affermato, Ulissi e Moser i giovani rampanti già pronti per correre ai massimi livelli, Malori e Boaro i volti freschi per il rilancio delle cronometro: questo è quanto di meglio offre il ciclismo italiano attuale. Il resto è ombra.

L’Italtennis ha sprecato un’occasione ghiotta in Coppa Davis, forse irripetibile per la generazione attuale. Sin dalla vigilia era noto come il punto decisivo della sfida con il Canada sarebbe stato il doppio. Fabio Fognini e Daniele Bracciali hanno solo accarezzato l’impresa, perdendo per 15-13 al quinto con lo specialista Daniel Nestor e la rivelazione Vasek Pospisil. Nulla da fare, invece, per Andreas Seppi e lo stesso Fognini contro un Milos Raonic che su superfici così rapide come quella di Vancouver è un giocatore in grado di dare fastidio anche ai vari Djokovic e Murray.
E’ probabile che se si fosse giocato sulla terra rossa l’esito del confronto sarebbe stato ben diverso, ma la Coppa Davis è anche questo: un torneo a squadre atipico, per certi versi anacronistico, ma che trasuda un fascino senza tempo, nel quale il fattore campo ricopre spesso un ruolo decisivo.
Si è avvertita eccome l’assenza di Simone Bolelli in doppio, ma nel complesso questa Italia ha ottenuto il massimo o quasi in base alla sue potenzialità attuali. Le semifinali avrebbero rappresentato un risultato storico ed approdandovi gli azzurri non avrebbero di certo rubato niente, avendo ampiamente dimostrato di equivalersi con il Canada. Lì avremmo incontrato la Serbia di Novak Djokovic e, salvo miracoli, ci sarebbe stato ben poco da fare.
Dobbiamo infatti ricordare che l’Italia solo nel 2012 è tornata a confrontarsi tra le prime 16 del mondo dopo aver trascorso un decennio tra seconda e addirittura terza serie. Il ritorno nell’elite del tennis mondiale è un dato di fatto, testimoniato dal ranking ATP (Seppi ha raggiunto il n.18 del mondo, come in passato Camporese e Gaudenzi; Bolelli-Fognini terzi nella Race to London di doppio) oltre che dai quarti di finale di Coppa Davis. Per ambire a vincere il trofeo, tuttavia, tutto questo ancora non basta. Per farlo servirebbe il campione, l’uomo in grado di vincere con chiunque in singolare, quindi di portare due punti alla causa. La generazione attuale non ha il Federer, il Djokovic o il Nadal della situazione. Ma non è detto che la prossima, con i vari Gianluigi Quinzi, Stefano Napolitano e Filippo Baldi, possa consentirci un ulteriore step verso la prestigiosa ed ambita insalatiera.

federico.militello@olimpiazzurra.com

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