Ciclismo

Marco Pantani e la scalata di Montecampione

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Vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia”. Marco Pantani era tutto lì, in quella frase chiara e semplice, specchio di un uomo che univa la naturalezza ad un talento divino, straordinario, e che proprio per questo ha fatto innamorare di lui generazioni di tifosi.

Si è scritto e si è detto tanto sul Pirata, forse anche troppo, degenerando spesso in una squallida mancanza di rispetto per il suo dramma umano: in vista del Giro d’Italia, tuttavia, vogliamo onorarlo ripercorrendo una delle sue imprese più belle. Perché il Pantani che tutti i tifosi ricordano è quello: lo scalatore che si alza sui pedali, che non si guarda mai indietro, che divora le salite come se fosse la cosa più facile del mondo.

Giro d’Italia 1998, diciannovesima tappa, 243 km tra Cavalese, nel Trentino, e Plan di Montecampione, località sciistica della Valle Camonica che ha dato i natali, tra l’altro, alle sorelle Fanchini. Pantani è già maglia rosa, conquistata due giorni prima a Selva di Val Gardena, ma il suo vantaggio nei confronti del russo Pavel Tonkov è troppo ridotto per stare tranquilli (appena 27”), anche perché la penultima giornata di gare prevede un’impegnativa cronometro di 34 km a Lugano.  Il Pirata deve inventarsi qualcosa, deve andare all’attacco come solo lui sa fare, deve fare la differenza in questa incantata valle del Bresciano se vuole vestire di rosa, pochi giorni dopo, sul podio finale a Milano. La prima parte della salita è Mapei contro Mercatone Uno, le squadre dei due campioni: spazio ai gregari, anche se viene difficile definire così il Gianni Bugno al servizio di Tonkov, o anche il Massimo Podenzana al servizio di Pantani. Si danno il cambio in testa al gruppo, che si assottiglia sempre di più: un primo scatto secco, bruciante del Pirata e alla sua ruota resta solo il russo. Vanno avanti così per un po’ di chilometri, il romagnolo sempre sui pedali, Pavel più spesso seduto, uno all’attacco e l’altro in difesa: non hanno né casco né occhiali, la sofferenza che mettono in mostra è un manifesto per il ciclismo.

Sembra tutto inutile, Tonkov fa fatica, sì, ma non cede un metro. Ma Pantani ha un cuore grande. Ai 2300 metri dallo striscione d’arrivo, raccoglie le energie residue e spara l’ultima cartuccia: il russo ci prova, si alza sui pedali, si risiede di schianto. 5, 10, 15, 20, 50 metri di vantaggio, il romagnolo è andato. Sul traguardo, nel tripudio generale di chi si rende conto di aver assistito ad una pagina epica di questa corsa, il distacco è di 57”, più 4” per la differenza di abbuoni per un totale di 1’01”; basteranno per la cronometro in Ticino, dove peraltro Pantani si prenderà addirittura il lusso di incrementare di un’altra manciata di secondi. Ma è lì, a Montecampione di Artogne, che Marco entra definitivamente nei cuori dei tifosi: con quel coraggio, con quella resistenza, con quella follia, con quella capacità di giocarsi il tutto per tutto. La voce di Adriano De Zan è quasi commossa quando Pantani alza le braccia al cielo chiudendo gli occhi, rigorosamente dopo aver passato la riga bianca, per non perdere neanche un secondo: quel giorno, quel 4 giugno 1998, s’è fatta la storia.

Questo è il video della sua impresa:

foto tratta da ecodellosport.it

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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