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‘Cogito, ergo sport’: Alex Schwazer, uno Zorro senza maschera
“Ogni uomo mente ma dategli una maschera e sarà sincero”.
(Oscar Wilde)
C’è un uomo dietro ogni maschera, è l’attore intento a recitare una parte della propria vita. Il doping è stato una maschera per tanti nel mondo dello sport, una maschera che li ha celati dietro una finzione, finzione che tuttavia alcuni non sono stati in grado di reggere, magari perché la sensibilità, la correttezza, la sincerità hanno prevalso. E così proprio la maschera ha lasciato emergere il vero uomo, ha fatto sì che la finzione cedesse il posto alla lealtà.
Alex Schwazer, campione olimpico di marcia, Oro nei Giochi di Pechino 2008, risultato positivo al controllo antidoping lo scorso anno, escluso dalle Olimpiadi di Londra, un mese fa ha ricevuto la sentenza dal Tribunale Nazionale Antidoping: 3 anni e 6 mesi di squalifica prima di poter tornare a gareggiare. Cronache che vanno avanti dal Luglio 2012, parole, polemiche, accuse, opinioni, fatti che risuonano ormai da tempo, su cui si è detto e scritto già molto.
Quello delle droghe, del doping, dell’assunzione di sostanze nello sport, è un grave tema del quale non bisognerebbe mai stancarsi di parlare. Tuttavia a volte si deve avere la capacità, il coraggio ed il buon senso di non fermarsi a puntare il dito, limitandosi a emettere giudizi a prescindere da cosa, e soprattutto da chi, si nasconde dietro ad una siringa. Senza cadere in un anticonformismo critico della moralità, è possibile fermarsi a guardare oltre il fatto in sé, che pure rimane deplorevole a tutti gli effetti, scavando fino in fondo ai motivi che portano uomini dotati di talento, grinta, carattere, che lottano ogni giorno tra sacrifici e difficoltà, a compiere determinate scelte, così decisive, così devastanti non solo per l’immagine dello sport e per il cattivo esempio dato ai giovani, ma anche e soprattutto per la propria esistenza.
Cogito, ergo sport: è un po’ come dire “faccio sport perché penso”. E nessuno meglio di un grande campione come Alex Schwazer può confermarlo.
“Non è il vincere o il non vincere perché il fisico è sempre uguale: se io mi alleno e la ‘centralina’ funziona fra un anno vinco l’oro. Dipende solo dalla testa”, dichiara Schwazer nell’intervista alle Invasioni Barbariche. Dipende solo da quella centralina, perché è lei a governare il mondo di ciascuno, è lei a dirigere ogni cosa, lei a dire ad un paio di gambe di correre più forte, ad un quadricipite di contrarsi, ad un tendine di resistere. Non correva più forte Alex quando si iniettava quelle sostanze, perché non è il doping che fa vincere. “Io sono convinto che se tu decidi di doparti è sempre perché tu, con te stesso, non vai d’accordo, con te stesso c’è qualcosa che non va bene e cerchi questa scorciatoia. Se uno ha più talento, più classe di un altro vincerà sempre”. E Schwazer ci tiene a sottolineare di aver vinto tutte le gare che ha vinto senza alcun tipo di doping.
Forse alle volte si dovrebbe badare, oltre che al gesto (condannato con una sanzione per alcuni eccessiva), anche al modo in cui l’uomo dietro la maschera affronta la difficoltà, al modo in cui rivela il suo volto, lasciando trasparire la sincera afflizione di un viso stanco delle menzogne, distrutto dal peso di un carico troppo grande, impotente di fronte alla propria grandezza e al proprio orgoglio di campione. Un uomo che dice di non essere un “uomo di ferro” capace di reggere un tale senso di colpa. Ma forse l’uomo di ferro è proprio quello che esce allo scoperto, il cavaliere mascherato che svela al mondo la propria identità facendosi carico delle responsabilità delle proprie azioni. Si è uomini di ferro non se si è capaci di continuare a vivere nella finzione, ben nascosti dietro un’immagine, un’apparenza, una bella rappresentazione; l’uomo di ferro è quello che dice di non reggere la menzogna scegliendo invece di reggere il colpo e le conseguenze che il disvelamento porta con sé.
Uno Zorro senza cavallo, che invece di galoppare preferisce marciare; uno Zorro che decide di farsi catturare dalla legge, togliendo la maschera, con la paura e al contempo il sollievo negli occhi, col senso di colpa e la responsabilità di un atleta che, prima ancora di campione, è un uomo.
“E se la vita è una commedia – si chiedeva Ambrogio Bazzero- perché non a tutti gli attori fu data la maschera?” Semplicemente perché l’uomo, il vero Uomo, può scegliere di toglierla.