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‘Cogito, ergo sport’: Nadia Comăneci, la perfezione (non) esiste

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Per essere perfetta le mancava solo un difetto“.
(Karl Kraus)

Con quella frase lo scrittore austriaco non poteva riferirsi a lei, Nadia Elena Comăneci, ma probabilmente l’avrebbe fatto se fosse vissuto qualche decennio in più, fino ai Giochi di Montreal del 1976, Giochi che diedero una svolta storica nel mondo della ginnastica olimpica. Non esistevano, all’epoca, votazioni che potessero sottoscrivere la “perfezione”, al massimo si poteva essere ad un passo da essa, raggiungere un 9.99 perché, si sa, la perfezione non esiste. Non esiste per chi? Per la maggior parte forse, ma non per lei, l’allora quattordicenne rumena, per la quale la giuria non poteva “limitarsi” ad applicare un 9.99: oltrepassare di un centesimo quel voto non significava semplicemente aggiungere uno 0,01 al massimo fino ad allora contemplato: significava riconoscere che quella ragazzina aveva un talento che andava al di là dell’eccellenza, che non sfiorava la perfezione, era la perfezione.

Nadia Comăneci

L’errore è dire che la perfezione non è di questo mondo, scriveva Cesare Viviani, anche se, guardando quella piuma librarsi tra le parallele asimmetriche, pareva di stare al di fuori della realtà, quasi fossimo catapultati nel mondo platonico delle Idee, là dove esiste solo la perfezione, eterna ed immutabile, come quell’esercizio che, per la prima volta, valeva 10, non a caso il numero che i pitagorici consideravano eccelso, per non dire perfetto.

Inutile elencare tutte le medaglie d’oro collezionate da Nadia Comăneci, inutile insistere sui riconoscimenti che le furono attribuiti, primo tra tutti il ricevimento dell’Ordine Olimpico, la più alta onorificenza del movimento olimpico, di cui è ancora la sola ad essere stata insignita per ben due volte. Ci basti allora ricordare quel miracolo che nulla ha di fortuito, quel 10 tondo tondo, quella magia riuscita per cui non sarebbe bastato essere “la migliore”, bisognava essere “la perfezione”, bisognava essere Nadia Comăneci.

Chissà se il nome stesso dell’atleta, ispirato a un film russo che significa “Speranza”, sia stato di buon auspicio per Nadia, ma una cosa è certa: quella speranza non è andata perduta.

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