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Golf | Manassero, Molinari e i Major: che non diventino un’allergia

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Di esami, Francesco Molinari e Matteo Manassero, ne hanno superato tanti in questi anni. Un talento infinito quello dei nostri due Signori del golf – stabilmente tra i primi 50 del mondo – espresso a più riprese nel corso degli anni, tra successi di prestigio come l’HSBC Champions (Chicco) e il BMW PGA Championship (Manny) e le due splendide convocazioni per Molinari nella Ryder Cup. Un’ascesa a tratti inarrestabile la loro, più regolare quella del torinese e maggiormente ‘esplosiva’ quella del veronese, ma della medesima qualità, per coloro che (insieme a Dodo Molinari, che attendiamo di nuovo ad alti livelli) stanno riscrivendo la storia del golf italiano dopo Costantino Rocca.

Eppure, come Costantino, c’è un esame che nemmeno loro sono ancora riusciti a passare. Quello più importante e più tosto, sia chiaro, quello che richiede forse più tempo e impegno di tutti, anche quel pizzico di fortuna in più rispetto ad altre ‘comuni’ vittorie: il Major. Uno scoglio insormontabile sia per un fenomeno come Rocca, issatosi sino al 2° posto nel British Open e al 5° nel Masters, sia per Francesco che per Matteo attualmente; il primo non si è spinto oltre una decima posizione al PGA Championship 2009, mentre il secondo ha come miglior risultato il 13° posto al British Open 2009. Ottimi piazzamenti, certo, ma sono rimaste delle sporadiche presenze tra i top, a cui non è seguito un ulteriore progresso, come la normalità avrebbe dovuto invece prevedere. Entrambi sembrano bloccati negli Slam, durante i quali riaffiorano puntualmente e pesantemente i loro principali difetti, sia dal punto di vista tecnico che psicologico.

In particolare, è palese come per Chicco il putt sia una spada di Damocle enorme, a cui non riesce a trovare un rimedio. Nell’ultimo U.S. Open il problema si è presentato nuovamente, tormentandolo per tutta la durata dei due round e costringendolo al taglio; perché il gioco dal tee al green è pressoché perfetto, da top ten della classifica mondiale, ma quel putt spezzerebbe i sogni di gloria di chiunque. Il primo errore, poi, in genere è soltanto l’inizio di una catena, come dimostrano i 37 putt tirati nel primo giro al Merion. Cambiare tutto? A 31 anni operare una scelta del genere non è facile, ma attendere ancora sarebbe autolesionistico per Francesco, che non può assolutamente prescindere da questo colpo.
Manny, invece, la sua maturità l’ha dimostrata a più riprese. E che maturità. Una delle peculiarità di Matteo è di riuscire a mantenere grande lucidità nei momenti difficili, anche se nei Major, finora, tutto questo è mancato. Al primo errore, infatti, è spesso capitato che Matteo perda la bussola, non riuscendo a reagire e a rimettere il torneo in carreggiata. E’ successo ad Augusta, è sembrato ancor più evidente ad Ardmore. A soli 20 anni, però, si può correggere ancora qualunque cosa, nonostante da un fuoriclasse come lui ci si attenda delle imprese stratosferiche già a quest’età, un po’ come Tiger o McIlroy. Paragoni improponibili? Forse, ma lasciamo il tarlo del dubbio.

Quel che è certo, è che Manassero e Molinari dispongono di mezzi tecnici in piena regola per poter tentare un reale assalto ad un Major, prima o poi. Ne sono consapevoli? Dovrebbero, anzi, devono, perché non sfruttare un potenziale del genere per sfatare finalmente quel tabù sarebbe uno spreco troppo grande.

Foto: businesspeople.com

daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

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