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Boxe, Michele Di Rocco: “Sogno il Mondiale al Madison Square Garden”
Tenacia, sacrificio e passione. Un lungo inseguimento, una scalata interminabile. Un talento indiscusso in cerca della consacrazione. Momenti difficili superati con rabbia. Poi, a 31 anni, l’attesa apoteosi, la gioia sognata, sperata, agognata per una vita intera. Un nuovo punto di partenza. Perché Michele Di Rocco, umbro di stanza a Roma laureatosi Campione d’Europa dei superleggeri lo scorso 9 giugno dopo aver annichilito il britannico Lenny Daws, si proietta ora verso nuovi orizzonti: dalla riconferma della corona europea, fino ad una sfida iridata magari da disputare in un luogo speciale. Con l’impegno e la consapevolezza di recitare un ruolo fondamentale per il rilancio della boxe professionistica in Italia.
Michele, cominciamo dalla tua storia: come ti sei avvicinato al pugilato?
“A sette anni praticavo karate. L’anno dopo mio cugino mi portò in palestra per provare la boxe e mi piacque molto. Fino a 14 anni, infatti, portai avanti entrambe le discipline. Da allora poi scelsi solo il pugilato ed iniziò un bel cammino ricco di soddisfazioni. Nel 2004 partecipai alle Olimpiadi di Atene, sfiorando la medaglia dopo aver perso nei quarti di finale. Poi passai professionista e vinsi il titolo italiano e dell’Unione Europea. Ora la corona continentale, il momento più bello della mia carriera. Ma di certo non mi fermo qui“.
Inutile dire che il successo richiede tanto sudore e sacrifici.
“Sudore è proprio la parola giusta. Di sacrifici ne ho fatti davvero tanti per vincere questo Europeo. A sei mesi dal match mi sono trasferito a Roma, facendomi ospitare da mio suocero. Due volte al giorno mi sottoponevo ad allenamenti massacranti. Non è stato facile, soprattutto con una dieta ferrea da rispettare per rimanere nel limite di peso dei 63.5 kg. Aggiungiamoci poi la nostalgia per mia moglie ed i miei figli ed il quadro è completo. Però alla fine sono stato ripagato di tutti questi sforzi“.
Prossimo obiettivo: difendere la cintura.
“Mi è stata fatta un’offerta per difendere il titolo europeo in Inghilterra. La proposta economica è buona, potrei accettare, penso che si tratterebbe anche di un match alla mia portata. Certo, combattere in trasferta non è mai facile, ma io ci sono abituato e so come impormi“.
Non possiamo nascondere, poi, le tue ambizioni iridate.
“E’ vero, vorrei diventare campione del mondo, possibilmente nella sigla WBC, quella più importante“.
Dove ti piacerebbe combattere l’incontro per il titolo mondiale?
“Ho un sogno nel cassetto: diventare il quarto italiano della storia a vincere il Mondiale al Madison Square Garden di New York dopo Primo Carnera, Nino Benvenuti e Gianfranco Rosi“.
Sei stato il primo pugile gitano in Italia a vincere un titolo europeo nel pugilato, un motivo di orgoglio.
“Sicuramente vado fiero di questo. Sono orgoglioso di definirmi un rom italiano. Io sono nato a Foliglio, risiedo a Bastia Umbria ed ora vivo a Roma. Sono davvero felice perché nessun gitano prima di me era riuscito in questa impresa, sebbene ci avessero provato pugili di tutto rispetto come Della Monica e Spada. Veramente una soddisfazione immensa“.
Da tanti, troppi anni il pugilato italiano vive una crisi profonda: che idea ti sei fatto in proposito?
“In Italia mancano soldi e organizzazione. Gli anni ’80 e ’90 sono ormai un miraggio, nazioni come Germania e Inghilterra, per non parlare degli Stati Uniti, sono di un altro pianeta. Da noi non esiste una diffusione mediatica all’altezza e parlo di web, televisioni e stampa. Forse perché manca il personaggio in grado di trainare il movimento. Troppo spesso solo gli addetti ai lavori sono a conoscenza di un match di cartello“.
Domanda scontata: potresti essere tu questo personaggio in grado di rilanciare la boxe?
“Perché no? Io pratico un pugilato spettacolare e la gente dice che sono un bel ragazzo. Posso piacere. Però ho bisogno di visibilità, che si parli di me. A quel punto saranno le persone a decidere se affezionarsi a me ed alla boxe oppure no. Ad esempio io guardo con ammirazione a Clemente Russo, bravo a diventare un punto di riferimento per il pugilato dilettantistico“.
A proposito di pugilato dilettantistico: perché i nostri migliori atleti decidono di non tentare la strada del professionismo, “accontentandosi” dello stipendio statale?
“E’ una scelta da rispettare: hanno preferito puntare sull’avere una certezza economica a fine mese. Il professionismo, invece, è una grande incognita. All’inizio non guadagni veramente nulla, i soldi, quelli veri, li vedi solo se diventi campione d’Europa o del Mondo. Dunque è una strada difficile e rischiosa“.
Torniamo al professionismo: perché in Italia è così difficile trovare dei buoni pugili?
“Partiamo dal presupposto che i migliori, in questo momento, sono rimasti tra i dilettanti. Per il resto vedo tanta mediocrità. I pugili italiani in grado di puntare ad una corona europea saranno 15-20 in tutto. Penso che il problema serio sia quello degli allenatori: tanti sono veramente incompetenti e lo fanno solo per soldi. Il problema è che per diventare allenatori basta fare un corso di 3 mesi, dunque può farlo chiunque. Secondo me questo è un sistema da cambiare, serve maggiore esperienza per seguire determinati pugili“.
Perché quasi sempre i migliori pugili italiani esplodono, come nel tuo caso, dopo i 30 anni?
“Perché forse prima non ci sono le condizioni giuste. Parlando di me, potevo vincere il titolo a 25-26 anni, ma poi dopo una sconfitta con Lauri ebbi un vero e proprio black-out, attraversando diverse stagioni buie. Poi gradualmente ho reagito e mi sono rimesso sulla strada giusta“.
L’attività della Opi2000 sta facendo bene al pugilato?
“Certo, si stanno dando un gran da fare per trovare sempre più sponsor che consentano a questo sport di prosperare in Italia. E’ difficile anche per loro, però Salvatore Cherchi ed i suoi figli stanno davvero dando l’anima“.
La tua vita a fine carriera: progetti?
“Voglio restare nel mondo della boxe per poter trasmettere ai più giovani i valori di questo sport: il pugilato insegna alla vita, ha delle regole ben precise che formano i ragazzi che la praticano. Sarebbe molto bello poter aprire una palestra e dare una mano a quelle associazioni che si occupano di combattere il bullismo ed aiutare i ragazzi maggiormente disagiati“.
Campione sul ring come nella vita.
federico.militello@olimpiazzrra.com