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Rugby
Giovanbattista Venditti si racconta a 360°: intervista esclusiva all’ala dell’Italrugby
E’ un’ascesa senza intoppi, finora, quella di Giovanbattista Venditti, iniziata dal suo paese natale, Avezzano, e proseguita con la Capitolina, il GRAN Parma, gli Aironi, le Zebre e quella Nazionale raggiunta e conquistata in un lampo, di cui è ormai un punto fermo a soli 23 anni. Talentuoso, con ancora ampi margini di miglioramento e disponibilità unica, come dimostra l’intervista che ha rilasciato in esclusiva ad Olimpiazzurra.
Partiamo da quello che ormai è un dato di fatto: sei diventato in poco tempo uno dei punti fissi della Nazionale e Brunel non rinuncia mai a te, tant’è che nelle ultime 19 partite dell’Italia hai collezionato 17 caps. Insomma, dall’ala non ti muove più nessuno.
“Sì, sono molto contento per la fiducia che lo staff ha riposto nei miei confronti, anche se in questa tournée non sono riuscito a giocare come avrei voluto anche per motivi fisici, ma tra di noi c’è stata onestà, quindi sia i giocatori che lo staff ne erano a conoscenza. Per altre cause non abbiamo voluto fare diversamente, ma il nostro gruppo è bello anche per questo, nessuno si sente intoccabile e la competizione interna sta aumentando sempre di più. Stiamo bene insieme ma per il posto in squadra c’è ampia scelta.”
Piccolo salto all’indietro per tornare al Sei Nazioni 2012: l’esordio contro la Francia, le mete contro l’Inghilterra e soprattutto quella importantissima contro la Scozia. Quali sono state le tue emozioni?
“L’esordio nel Sei Nazioni è stato perfetto, non avrei potuto immaginare di meglio. Ovviamente qualunque partita con la Nazionale ha sempre un sapore speciale ma non si può paragonare un Sei Nazioni ad una tournée di giugno o qualunque altro incontro, quindi per me è stato veramente un onore. Come ho detto prima, ho avuto la fiducia di compagni e quindi siamo riusciti a fare belle cose; le mete in casa, poi, sono state veramente particolari perché una, per fortuna, ha contribuito alla vittoria (contro la Scozia, ndr) e nell’altra comunque ci siamo andati vicino (contro l’Inghilterra, ndr). E giocare all’Olimpico comunque è sempre bellissimo.”
Com’è nata la passione per la palla ovale? E quando hai capito di poter diventare un professionista di così alto livello?
“Ho cominciato a 9 anni ad Avezzano e a 15 mi sono trasferito a Roma per giocare con la Capitolina. Quando ha fatto la scelta di andare a Roma per giocare a rugby il mio obiettivo era di fare sport; ero abbastanza portato fin da piccolo e la strada si è rivelata quella giusta fin dall’inizio. Ci ho sempre messo tanta passione e sono stato molto fortunato nell’incontrare amici e tecnici giusti che mi hanno accompagnato in tutti questi anni.”
La Nazionale: con Brunel ha avuto inizio un percorso entusiasmante, in particolare nei test di novembre e nel Sei Nazioni si è vista una nuova Italia. Nel Tour in Sudafrica, però, non sono arrivate le conferme che ci si attendevano, ma tre dolorose sconfitte. Cosa non ha funzionato?
“I risultati non sono stati quelli che ci aspettavamo e per quello che abbiamo lavorato. Siamo molto rammaricati, potevamo chiudere con una vittoria anche se non ci dovevamo accontentare di quello. Purtroppo è sfumata anche quella e, in termini di concretezza, il Tour è stato praticamente da buttare, anche se i ragazzi che si sono affacciati per la prima volta alla Nazionale sono note positive. E’ comunque un lavoro duro, che è stato la continuazione di quello che abbiamo fatto nel Sei Nazioni e di cui vedremo i frutti anche a novembre, per cui magari serve un po’ di lungimiranza e di pazienza, perché non è tutto da buttare. Abbiamo sofferto particolarmente questa tournée di giugno perché molti di noi sono arrivati in condizioni non ottimali; la stagione è stata molto lunga, sia con i club che con la nazionale e tanti di noi sono arrivati veramente spremuti. Questa non vuole essere una scusa però diciamo che anche la tournée di per sé è stata molto fisica, affrontando squadre come Sudafrica, Samoa, per cui non siamo riusciti ad esprimere il gioco che volevamo.”
Mettendo da parte questa parentesi negativa, però, non c’è dubbio che con Brunel siano cambiate molte cose rispetto ai suoi predecessori, in particolare rispetto a Mallett, che tu hai conosciuto.
“Diciamo che non potrei parlare molto, perché Mallett l’ho conosciuto solamente in veste di raduni, però lui privilegiava molto il gioco di mischia, comprensibilmente. Brunel, invece, punta molto più sul gioco collettivo di avanti e trequarti e sul grande equilibrio tra due queste due componenti. Ha dato molta fiducia a tutti i trequarti perché prima ci sentivamo meno incisivi degli avanti, invece adesso abbiamo qualche responsabilità in più e abbiamo molta meno paura di sbagliare.”
Hai un fisico che ricorda un po’ una terza linea, eppure giochi all’ala: come mai questo ruolo?
Da piccolino ho sempre giocato tra i trequarti: estremo, primo e secondo centro, a volte anche apertura, poi ala, quindi non ho mai giocato in mischia. Fortunatamente sono abbastanza mobile e anche da piccolo ero veloce.
Un ruolo che inoltre è andato incontro a cambiamenti nel corso degli anni. Prima gli interpreti erano maggiormente giocatori ‘piccoli’ fisicamente, mentre ora a dominare nella posizione sono giocatori come te, North, Savea ecc… Come te lo spieghi?
“Questa è un po’ l’evoluzione del nostro sport, che si sta omogeneizzando sempre di più. Adesso si vedono più piloni che sanno usare benissimo le mani, ci sono tallonatori che usano anche i piedi e fanno finte, per non parlare delle terze linee che ormai sono giocatori completissimi, per cui sono bravi ovunque. Ed è un’evoluzione che interessa anche i trequarti, con giocatori più di sfondamento; poi ci sono quei fenomeni che oltre all’altezza, ai piedi e alla velocità hanno anche delle ottime mani, visione di gioco e senso tattico.”
Nell’ultima fase di stagione, Gajan ti ha spesso provato anche centro nelle Zebre. Come ti sei trovato? In futuro ti rivedremo in questo ruolo?
“Questo non lo so, sicuramente mi sono trovato benissimo perché ho avuto l’occasione di toccare molto di più il pallone e di entrare meglio nei meccanismi della squadra. L’ala è un bellissimo ruolo, che finalizza il lavoro degli altri giocatori, per cui quando la squadra non gioca come vorrebbe l’ala è uno di quei ruoli che ne risente maggiormente; mentre giocare centro offre diverse opzioni ed è stato veramente bello poter tornare a giocare in quella posizione dopo che da piccolo vi giocavo con continuità, e se in Nazionale o alle Zebre mi chiedessero di giocare centro non ci sarebbero assolutamente problemi.”
Le Zebre: affrontare un campionato duro come il Pro12, per una squadra di fatto nuova, non è mai facile, ma nessuno probabilmente si aspettava di chiudere la stagione senza nessuna vittoria, nonostante l’abbiate sfiorata in diverse occasioni.
“Eravamo una squadra messa insieme in poche settimane, quindi sarebbe stato veramente difficile. Neanche noi ci aspettavamo comunque di finire con zero vittorie dopo aver fatto una buona pre-stagione, vincendo sfide anche di spessore, ma durante il campionato purtroppo è mancata quella voglia di portare a casa il risultato negli ultimi minuti e ci è costato caro in diverse occasioni. Quest’anno partiamo con obiettivi diversi, non vogliamo centrare soltanto la prima vittoria ma vogliamo confermarci e fare meglio, vogliamo non solo offrire un buon rugby ma cercare di portare a casa ogni partita qui a Parma.”
Parma, però, sembra non aver legato molto con voi, come dimostrano le presenze allo stadio. Come ti spieghi questo poco attaccamento?
“Purtroppo il rugby in Italia non ha molta visibilità, anche perché il gioco non di così alto livello come in altre parti del pianeta non spinge la gente ad affezionarsi a questo sport. Sicuramente c’è stato un problema, perché neanche noi ci aspettavamo questo poco afflusso di gente sulle tribune che diciamo ha penalizzato la squadra e perché non è la stessa giocare di fronte a migliaia di persone o giocare davanti a 30-40 persone. E’ stato un problema e spero che quest’anno non si verifichi.”
Il nuovo allenatore sarà Andrea Cavinato. Hai già avuto modo di lavorare con lui?
“Sì, lui mi ha già allenato con l’Under 20 e abbiamo vinto un Europeo, partecipato al Sei Nazioni e vinto anche il Mondiale B in Russia, per cui è un allenatore che ha un’ottima esperienza. Con lui mi sono trovato bene, spero di trovare il mio spazio in squadra e di essere utile per raggiungere queste vittorie che oramai cerchiamo da tanto.”
Pensi che un’esperienza all’estero, in Inghilterra o in Francia, con la possibilità di disputare anche un’Heineken Cup o una Challenge Cup ad alti livelli, ti possa rendere più competitivo a livello internazionale?
“Sicuramente ho ancora tantissimo lavoro da fare, perché ho solo 23 anni, ho tanto tempo davanti a me e soprattutto ho veramente molti aspetti del mio gioco su cui migliorare. Giocare in un campionato straniero sarebbe un’ottima opportunità, sia per progredire come giocatore ma anche perché all’estero c’è un’altra cultura e con la mia famiglia ci arricchiremmo molto.”
Quali consigli daresti ai giovani rugbisti?
“Il mio consiglio è di divertirsi, di vivere gli allenamenti come veramente un’opportunità di migliorarsi, non facendo entrare altre cose in questo sport che è una splendida occasione di socializzare con gli altri e di sfidare altre persone. E poi permette di tirar fuori tutta l’energia dentro di sé.”
Un pronostico su Australia-Lions?
“Credo che vinceranno i Lions.”
Foto: Claudio Villa/Getty Images Europe
daniele.pansardi@olimpiazzurra.com