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Tiro a volo: intervista esclusiva a Luigi Lodde

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“Ancora non ci credo”. Queste le parole di Luigi Lodde nel 2011 quando conquistò a Sydney la carta olimpica per Londra, la seconda e ultima per lo skeet. Lodde, oltre a rappresentare la Sardegna insieme a Manuel Cappai, fu uno dei protagonisti della prova a cinque cerchi: alla Royal Artillery Barracks il tiratore di Ozieri chiuse al quinto posto, a un passo dalla medaglia olimpica. Un grandissimo risultato per il 33enne dell’Esercito che quest’anno si è pure tolto la soddisfazione di vincere la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo di Mersin, arrivando ad occupare la terza posizione del ranking mondiale. Ecco l’intervista che l’azzurro ci ha concesso in esclusiva.

A 33 anni sei diventato numero 3 del mondo. Ti aspettavi di arrivare così in alto?

“Non posso dire che mi aspettavo di arrivare così in alto, si tratta di un risultato venuto con tanto lavoro e applicazione, senza pensare al ranking ma cercando di migliorare un passo per volta, gara dopo gara”.

Per alcuni anni hai messo da parte il tiro a volo per laurearti in scienze biologiche. Quando hai capito che il tiro a volo sarebbe diventato il tuo lavoro?

“Devo confessare di non averlo mai capito finché non è successo. Sono stato accolto nel Corpo Sportivo dell’Esercito poco dopo la conquista della carta olimpica, in un periodo in cui gli eventi si sono succeduti molto rapidamente e senza una vera programmazione da parte mia. Sono molto grato all’Esercito per avermi permesso di poter praticare il tiro come professione, la mia passione per la biologia non era altrettanto grande!”.

Hai ereditato la passione del tiro da tuo padre. Puoi raccontarci qualche aneddoto dei primi allenamenti?

“Il fucile era la mia grande passione sin da quando ero molto piccolo e il mio primo fucile era un automatico da caccia Beretta calibro 20 che mio padre aveva fatto accorciare su misura per me. Una cosa che ricordo in particolare sono i momenti che precedevano gli allenamenti in cui caricavo le mie cartucce a casa: mio padre preparava il macchinario e, sotto la sua supervisione, mi permetteva di fare da solo anche se me ne lasciava caricare sempre troppo poche”.

Ti piacciono le nuove regole?

“Trovo che le nuove finali abbiano sia aspetti positivi che negativi. Da un lato credo che siano molto più entusiasmanti e avvincenti da seguire, con una maggiore tensione per gli atleti coinvolti. Il lato negativo è che non vince più chi ha preso più piattelli bensì chi in quel momento dimostra di avere una maggiore determinazione. Inoltre, se penso a chi ci può seguire solo attraverso la televisione mi dispiace che non ci sia più la possibilità di vedere una serie di skeet vera e propria, pedana per pedana: noto infatti che le nuove finali vengono percepite come un interminabile spareggio”.

Come ti concentri tra un tiro e l’altro?

“In realtà non cerco di concentrarmi ma di riprodurre ciò che faccio in allenamento. Questo è un aspetto che curo moltissimo con lo psicologo dello sport Manolo Cattari, che mi ha accompagnato anche nella preparazione ai Giochi olimpici: in sostanza fra una pedana e l’altra eseguo una routine di preparazione graduale al gesto da eseguire, che mi tiene impegnato e mi permette di non lasciare spazio a pensieri che possano sorprendermi o distrarmi da ciò che sto per fare”.

Che tipo di allenatore è Benelli?

“Avere un campione del calibro di Andrea Benelli come tecnico significa  avere una persona estremamente competente e molto professionale. E’ un allenatore che analizza i singoli dettagli (nello skeet i dettagli fanno la differenza), che ci segue tanto e ci mette sotto la giusta pressione”.

Lo scorso anno alle Olimpiadi hai ottenuto un ottimo quinto posto. Che ricordo hai dell’esperienza londinese?

“I ricordi che conservo dell’Olimpiade di Londra sono tutti splendidi, ma durante questi 12 mesi mi sono reso conto che non è semplice trovare le parole per raccontare cosa si prova a prendere parte a questo evento. Onestamente mi sembra ancora un sogno e ogni tanto ho bisogno di riguardare le foto per convincermi del contrario: ho tante immagini indelebili di questa esperienza che sicuramente conserverò con me per sempre”.

A Londra arrivarono anche una ventina di tifosi da Ozieri e dintorni, ti seguiranno anche a Lima, per i Mondiali?

“Purtroppo no. Londra era una destinazione molto più semplice e veloce da raggiungere, particolarmente nel periodo olimpico. Raggiungermi in Perù sarebbe troppo complicato e impegnativo, perciò spero vivamente di portarli a Rio fra tre anni”.

Da grande appassionato di pallacanestro come giudichi la scelta di Datome di andare a giocare ai Detroit Pistons?

“Credo abbia fatto una scelta giustissima, arrivare fino in NBA è il sogno più grande per qualsiasi giocatore di basket e da sardo sono particolarmente orgoglioso di questo suo successo. Datome è un atleta di pregio e un grande professionista e gli auguro di riuscire a diventare un giocatore di prim’ordine anche negli Stati Uniti”.

francesco.drago@olimpiazzurra.com

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