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Sport di contatto, un calcio ai pregiudizi

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Uno dei momenti importanti per la crescita di un bambino o di una bambina è quello della scelta dell’eventuale sport da praticare. Chi sceglie il calcio, chi il nuoto, chi la pallacanestro o la pallavolo; chi invece prende strade alternative e meno battute, e opta per sport come karate, lotta, boxe, scherma. O, per rimanere in ambito degli sport di squadra, il rugby o il football americano.

Gli sport  presi ad esempio non sono per nulla casuali, ma anzi servono proprio come base di partenza per l’impostazione del mio discorso. Infatti, spesso, si assiste a ‘no’ di principio imposti dai genitori ai loro figli verso quest’ultimi sport, sulla semplice base di preoccupazioni per la salute fisica e l’educazione dei propri figli: sport di lotta e di contatto come quelli sopra citati, vengono infatti immediatamente collegati alla violenza e alla facilità di incorrere in infortuni, anche seri. Insomma sport pericolosi e diseducativi.

Eppure, analizzando a fondo la questione si scopre che gli sport più pericolosi e meno educativi sono proprio quelli ritenuti più “sicuri”. Su tutti valga l’esempio del calcio, dove l’incidenza degli infortuni gravi è assai alta e dove gli esempi poco edificanti continuano ad arrivare con puntualità raccapricciante: il campionario di risse, scorrettezze e malcomportamenti assortiti si aggiorna di giorno in giorno anche in un periodo, come quello estivo, fatto per la maggior parte di amichevoli. E a livello giovanile le cose purtroppo non vanno molto meglio: anzi qui si nota anche il fenomeno dei genitori ultrà, molto spesso in prima linea a dare il cattivo esempio. Ben chiaro, non si intende qui demonizzare il calcio, ma semplicemente dimostrare come spesso si ponga l’accento in maniera erronea sulle presunte negatività di alcuni sport solo perchè alla base c’è il contatto fisico e la lotta.
Ci sarebbe un altro fattore alla base di questa riluttanza, ovvero la scarsa popolarità di questi sport; un problema quindi di cultura sportiva, che fa si che si preferisca virare sui più tranquilli lidi di sport nazional-popolari.

Ma quindi rugby, boxe o altri sport di contatto sono veramente il demonio da cui preservare i propri pargoli? Niente affatto, anzi… il rigore morale e il rispetto di compagni (nel caso del rugby) e avversari, nonchè dell’autorità dell’arbitro – spesso e volentieri calpestata nel calcio, con capannelli di giocatori che in maniera poco “urbana” contestano le decisioni prese dal giudice di gara – sono imprescindibili valori delle discipline sopra citate. E così non deve stupire se, in una competizione come il Campionato del Mondo di scherma, la spadista rumena Ana Branza – che si stava giocando l’accesso alle medaglie-  si sia fatta togliere dall’arbitro una stoccata erroneamente a lei assegnata, senza che l’avversaria ricorresse alla moviola.

C’è un altro aspetto che preme sottolineare in difesa di questi sport, ed è quello sociale: discipline come boxe, karate e arti marziali in genere, sono spesso veicolo di salvezza per quei ragazzi che provengono da zone povere o da situazioni famigliari difficili. Una palestra con un saccone, un ring e quattro attrezzi in croce unite all’impegno di persone di buona volontà (spesso e volentieri campioni o ex campioni) significa per molti trovare una valvola di sfogo ed un’ottima alternativa al nulla delle loro giornate.

alessandro.gennari@olimpiazzurra.com

photo: Alessandro Gennari

 

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