Ciclismo
Vuelta 2013: il Naranco nel ricordo di Alessio Galletti
La terzultima tappa della Vuelta a España 2013 si è conclusa quest’oggi sul Naranco, una salita storicamente legata al ciclismo iberico non solo per aver costituito più volte un traguardo parziale della stessa Vuelta, ma anche per una corsa tutta sua, la Subida al Naranco, da sempre in calendario nel mese di maggio. Questa classica spagnola è stata però teatro di un dramma immenso nella storia delle due ruote: la morte di Alessio Galletti, corridore pisano.
Nato nella città toscana il 26 marzo 1968, approda tra i professionisti nel 1994 in maglia Lampre, dopo ottimi trascorsi tra i dilettanti: gira parecchie squadre, mettendo in luce ottime doti da passista che gli valgono un totale di quattro vittorie tra Tour de l’Ain, Tour Down Under e Due Giorni Marchigiana. La sua vera vocazione, però, è quella del gregario: quattro stagioni al fianco di Mario Cipollini, tra Saeco e Domina Vacanze, nel quale diventa un elemento fondamentale di quel “treno rosso” simbolo delle volate.
Nel 2005 indossa la maglia della Naturino, legato com’è al team manager marchigiano Vincenzino Santoni: il 15 giugno di quell’anno si disputa, appunto, la Subida al Naranco. L’ultima corsa di Galletti, che lamenta dolori al petto e cade improvvisamente all’indietro, mentre il suo gruppo affronta la penultima salita: amici, compagni e colleghi si fermano a soccorrerlo, i soccorsi arrivano quando ormai è troppo tardi; Alessio è morto a 37 anni per arresto cardio-circolatorio, lasciando un figlio di nove mesi e la moglie incinta del secondogenito che non conoscerà mai suo padre.
L’oblio che ha travolto questo caso è stato più volte squarciato dal coraggio della signora Consuelo, sposa del corridore, la quale ancora pochi giorni fa ha scritto questa lettera a TuttobiciWeb per cercare di avere le risposte che nessuno, in questi anni, le ha mai dato.
“Sono trascorsi ormai otto anni dalla morte di Alessio Galletti e sono giunta alla conclusione che mio marito è stato dimenticato. Io e i nostri figli ci sentiamo abbandonati: ad oggi nessuno è riuscito ad aiutarci a capire perché non esiste un’ assicurazione per la morte di Alessio.
Mi sono rivolta a molte persone dell’ambiente del ciclismo cercando aiuto e chiarezza, addirittura mi sono fatta seguire dall’avvocato dell’ACCPI Federico Maria Scaglia, persona molto disponibile, preparata e gentile, che ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità, anche se dopo circa tre anni ho dovuto abbandonarlo perché quello che poteva fare l’aveva fatto.
Ad oggi non ho ancora la copia del contratto assicurativo che la squadra avrebbe dovuto stipulare come da richiesta dell’U.C.I. e come previsto dal contratto della squadra firmato da Alessio e controfirmato dal signor Santoni.
Tutti dicono che l’assicurazione c’è, come doveva esserci, ma nessuno me ne fornisce la prova.
Eppure, dopo soli dodici giorni dalla morte di Alessio mi è arrivata una lettera dall’Assicurazione ARA che già dichiarava che la morte di Alessio non era coperta dalla polizza stipulata… Non hanno neanche aspettato i risultati dell’autopsia che sono arrivati dalla Spagna dopo sei mesi.
Alla signora Alessandra Potativo del gruppo Taverna ho fornito tutti i documenti che ci ha richiesto (referto Autopico, referto degli esami…). Su suggerimento del Signor Ivano Fanini (ex direttore sportivo di Alessio), mi sono rivolta telefonicamente e per via email al dottor Pierangelo Beltrami, direttore e responsabile dei contratti dei corridori, il quale mi aveva inizialmente rassicurata dicendomi che l’assicurazione c’era e che avrebbe coperto la morte di Alessio. Ma dopo mesi/anni di solleciti al signor Adorni del gruppo Taverna, il medesimo riferisce al signor Beltrami che la morte di Alessio non è dovuta ad un infortunio e quindi non è coperta dall’assicurazione .
IO AD OGGI MI CHIEDO: PERCHÉ?
Alessio era sul luogo di lavoro quando è morto (una placca di sangue, ostruendogli una vena, ha causato l’infarto): quel giorno in Spagna faceva molto caldo rispetto al clima che c’era in Italia, il viaggio aereo del giorno prima della corsa evidentemente si era fatto sentire, la salita e lo sforzo della medesima… ma la cosa più grave che ha sicuramente causato il decesso è il MANCATO SOCCORSO TEMPESTIVO.
Quando Alessio si è sentito male si è accasciato sull’asfalto e nessun soccorso attrezzato è arrivato prima di 40 minuti; solo un poliziotto che era sul luogo ha provato a praticare un massaggio cardiaco che non può certo tenere in vita per cosi tanto tempo.
Ora io chiedo: se un qualsiasi operaio/dipendente con un normale contratto di lavoro, venisse mandato all’estero e sul luogo di lavoro, si sentisse male e non venendo soccorso morisse, sicuramente sarebbe tutelato. Perché non deve essere così per Alessio?
Questa domanda la rivolgo alla FEDERAZIONE CICLISTICA, all’U.C.I., all’A.C.C.P.I. e a tutti coloro che fanno parte del ciclismo”.
Consuelo Galletti
foto tratta da flickr.com
marco.regazzoni@olimpiazzurra.com
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