Ciclismo
Vuelta 2013: la sofferenza dei velocisti
Poche, pochissime occasioni per fare bene, e tantissima sofferenza. Questa la Vuelta a España dei velocisti in gruppo, che hanno sofferto sulle mille salite per cogliere dei risultati nelle poche tappe adatte concesse dagli organizzatori della corsa.
L’Angliru, come tutte le altre impervie ascesa, ha due facce. La prima è quella che viene raccontata con dovizia di particolari grazie alle televisioni e ai più disparati mezzi di informazioni. La seconda è quella della fatica, per corridori che soffrono non appena la strada sale, chiamati comunque a scalare le vette per poter ripartire il giorno successivo. Se ne parla forse troppo poco ma la vera fatica, in salita, è quella dei velocisti, dei corridori muscolosi che devono combattere contro la forza di gravità, vera e propria nemica delle ruote veloci, che fanno della velocità, in pianura, uno stile di vita.
Una pedalata dopo l’altra, rampe al 20% che quasi invitano a scendere dalla bici per spingerla a piedi. Ma nonostante questo, il pubblico ha un applauso, un urlo, un incitamento anche per loro, gli uomini-jet, da soli sulle montagne. Spesso la loro corsa è ancora più estrema dei big della classifica, che sui tornanti sembrano quasi danzare, quando si alzano sui pedali per rilanciare l’andatura. Eppure non corrono contro il tempo, il rischio FTM, fuori tempo massimo. Il vero incubo di tutti i corridori che prendono il via in un grande giro, considerando le tappe che li attendono.
Ma nonostante questo in molti ce la fanno, resistono, magari anche per fare una sola volata, l’ultimo giorno, quello della passerella. La possibilità di lanciarsi a 70 all’ora è il loro premio per aver combattuto. E alla fine uno, oggi è stato il caso di Michael Matthews, può alzare le braccia al cielo, e tutta la sofferenza diventa dolce, il dolore felicità. Perchè un successo così, vale ancora di più.
gianluca.santo@olimpiazzurra.com
Foto: zimbio.com
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