Pallavolo
‘Cogito, ergo sport’ – Intervista al Pallavolista Filosofo, Luca Vettori
A primo impatto si rimane affascinati dall’imperturbabilità di un volto concentrato e un corpo tanto alto quanto aggraziato; qualche istante e già iniziano a trasparire il talento, l’umiltà, l’autenticità di un atleta amante dei libri e artefice della rubrica “Vettori Ergo Sum”, determinato a raggiungere i propri obiettivi senza mai perdere di vista se stesso.
Si chiama Luca Vettori, classe 1991, pallavolista originario di Parma, giocatore della Copra Elior Piacenza e campione esordiente della Nazionale italiana in Word League e campionato europeo. Sintesi perfetta di corpo e mente, la potenza di una schiacciata unita all’amore per la letteratura. È l’incontro di sport e cultura concretizzato nel nome di Luca Vettori che in un’intervista inedita alla rubrica “Cogito, ergo sport” (Olimpiazzurra), racconta se stesso, le proprie passioni, le esperienze passate e le prospettive per il futuro, dimostrando che lo sport non è solo allenamento e benessere fisico, che il successo non compromette la propria umanità e che si può essere campioni anche fuori dal campo da gioco.
Nessuna incertezza, nonostante non conosca le domande. Al telefono Luca non ha problemi a lasciarsi dare del tu, ascolta pazientemente e risponde con precisione ad ogni rischiesta senza mai dar segni di insofferenza. Colpiscono la chiarezza, la cura delle risposte, la disponibilità a parlare di qualsiasi argomento, la gentilezza e la puntualità di un campione rimasto innanzitutto uomo.
“Il vero è l’intero”: il tutto è maggiore della somma delle sue parti.
(G.W. Friedrich Hegel)
– Appena dopo la premiazione agli Europei (medaglia d’Argento per l’Italia) hai affermato che sarebbe stato meglio vincere un Oro piuttosto che il premio individuale come miglior schiacciatore del torneo: ritieni che questo tipo di solidarietà verso la squadra sia un fattore intrinsecamente legato alla pallavolo oppure si tratta di una singolarità nel caso specifico della Nazionale?
«Indubbiamente quando giochi per la Nazionale lo spirito di gruppo lo si avverte maggiormente perché senti di rappresentare qualcosa di più grande. Esiste una direzione condivisa che è il vincere. Il fatto stesso di rendersi disponibili a continui cambi di ruolo per una vittoria di squadra contribuisce a rafforzare questo senso di unità con i compagni. Sarei stato contento anche se avesse giocato Sava (Cristian Savani, ndr) tutto il tempo, se non si fosse infortunato. Credo che questo non sia un tratto esclusivo della pallavolo ma riguardi piuttosto qualunque settore in cui si agisce in funzione di una meta comune».
“Il dubbio o la fiducia che hai nel prossimo sono strettamente connessi con i dubbi e la fiducia che hai in te stesso”.
(Kahlil Gibran)
– Qual è, a tuo modo di vedere, la chiave psicologica più importante, il fattore mentale su cui un atleta deve costantemente lavorare in uno sport come la pallavolo, dove il contatto fisico con l’avversario è particolarmente ridotto e gli equilibri di una partita possono subire in ogni momento cambiamenti decisivi?
«La pallavolo è uno sport particolare da giocare ed è difficile dire cosa accada nel singolo giocatore quando, ad esempio, nella prima parte della partita non riesce a mettere a segno una palla per poi all’improvviso riprendersi, quasi inspiegabilmente. Non credo ci sia una formula, si tratta piuttosto di allenare costantemente la concentrazione così da arrivare alla partita con la tranquillità mentale di chi confida nelle proprie capacità e una fiducia verso i compagni tale da non permettere che il singolo errore o una brutta partenza incidano sull’intero match».
“L’unica possibilità di conquistare e difendere la nostra dignità di uomini ce la offrono la cultura e un’educazione libera. Ecco perché credo che sia meglio continuare a batterci pensando che i classici e l’insegnamento, che la coltivazione del superfluo e di ciò che non produce profitto, possano comunque aiutarci a resistere, a tenere accesa la speranza, a intravedere quel raggio di luce che ci permetta di percorrere un cammino dignitoso”.
(Nuccio Ordine)
– Nel “Piccolo manifesto” hai scritto che pallavolo e cultura dovrebbero sostenersi a vicenda viste le comuni esigenze. Come è possibile costruire quel tipo di cultura pallavolistica e pallavolo “acculturata” che prescinda da solide basi economiche e, anzi, abbia l’opportunità di porle?
«Ritengo sia fondamentale cogliere le necessità, i valori dello sport, sollecitando l‘interesse educativo, non economico, che esso è in grado di risvegliare. A livello pratico si potrebbe partire dalla scuola per promuovere questo tipo di messaggio. Io ho spesso proposto un “braccio di ferro”, un doppio binario tra sport e cultura perché sono questi gli ambiti che mi appartengono ma potrebbero essercene anche degli altri; io mi limito ad indicare le due sfere con cui ho maggiore affinità e vicinanza e cerco di sollecitare l’opinione verso questi temi sfruttando al meglio la mia notorietà, affinché questa non rimanga sterile».
“Il fine giustifica i mezzi”.
(Niccolò Machiavelli)
– Spesso, per aumentare la risonanza di un determinato sport, si cerca di puntare su fattori che fanno colpo sul pubblico e che possono rivelarsi superficiali: la bellezza dei giocatori, la partecipazione a programmi televisivi. Pensi che queste “tecniche” siano vantaggiose o rischiano di minare l’essenza dello sport?
«Ogni tipo di stimolo può avere valenze positive. Quel tipo di messaggi personalmente non mi appartiene ma non giudico in maniera negativa, ad esempio, la partecipazione a “Ballando con le Stelle”, anzi: quella risonanza che merita il mondo della pallavolo la si può ricercare in molti settori».
“Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.
(Samuel Beckett)
– Qual è il modo migliore per smaltire una sconfitta e in che misura questa può divenire formativa e incidere positivamente in vista di un obiettivo futuro?
«La chiave sta nello staccare la spina, studiare la situazione, rimboccarsi le maniche per poi rimettersi in gioco. Il fallimento in questo modo consente di trovare le proprie lacune e di conseguenza permette di migliorare».
“Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze”.
(Paul Valéry)
– In riferimento a questa Nazionale, a lungo si è parlato della squadra ringiovanita rispetto all’anno passato, con un’età media di 25 anni e mezzo. Che tipo di rapporto si è creato tra i più giovani e i più esperti?
«Essenziale è stata la condivisione del tempo libero, la partecipazione di gruppo a varie attività; la squadra si forma anche fuori dal campo e, nel nostro caso, convivere con questa differenza di età non è stato affatto un problema. In realtà la differenza non si è sentita affatto perché Sava, Bira (Emanuele Birarelli, ndr), Simone (Simone Parodi, ndr) e gli altri sono molto giovanili».
“Essere uomo è precisamente essere responsabile”.
(Antoine de Saint-Exupéry)
– L’ottimo debutto prima in World League poi agli Europei con la Nazionale Seniores, ha evidentemente accresciuto le aspettative, amplificando la luce dei riflettori accesi su di te: è più grande la soddisfazione o il senso di responsabilità, quindi l’idea di dover rendere maggiormente conto delle tue prestazioni da questo momento in poi?
«Ancora non ho ben inquadrato la situazione. Di sicuro sono aumentate le pressioni ma questo porta a un salto di qualità che era necessario fare. Da adesso dovrò mettermi in discussione in modo più concreto e continuo, diversamente da quando entravo in partita saltuariamente e per pochi minuti».
“Non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all’impossibile”.
(Max Weber)
– Un Argento europeo è decisamente un ottimo risultato, considerato anche il colosso russo che si aggiudica il terzo oro consecutivo dopo le Olimpiadi e la World League. Personalmente credi che questa Russia fosse davvero imbattibile per l’attuale Nazionale italiana?
«La Russia può essere una squadra come le altre. Non è imbattibile, basta essere più determinati».
“Il segreto di questo mestiere sono i rapporti, i rapporti personali”.
(dal film “Jerry Maguire”)
– La correttezza è uno dei caratteri fondamentali dello sport. Nell’ambito della pallavolo sono rare, si potrebbe quasi dire assenti, scene di violenza, atti di razzismo nei palazzetti, presenti invece in altri sport, specie nel calcio che è il gioco preponderante in Italia. I motivi possono essere tre: o si tratta di una questione prettamente quantitativa, cioè di una differenza in termini di numeri tra il pubblico del volley e quello del calcio; oppure le reazioni della tifoseria dipendono dal differente tipo di gioco: nella pallavolo mancano gli scontri diretti, il contatto fisico, fattori che possono dare adito a impulsi aggressivi; o magari si può avere la presunzione di pensare che esista una cultura pallavolistica, una base educativa in una tifoseria che comprende tutte le fasce di età e coinvolge intere famiglie.
«Condivido tutte e tre le osservazioni e, da pallavolista, sento di avere un certo orgoglio nel dire che sì, nel volley è così, esiste una correttezza che si forma a partire dal rispetto che c’è tra i giocatori, tra giocatori e società e di conseguenza tra giocatori e tifosi. Inoltre nella pallavolo c’è un clima più familiare che non permette di creare seri antagonismi contro giocatori di una squadra avversaria. Per questi motivi credo che, dal punto di vista educativo, la pallavolo abbia uno spiraglio in più rispetto al calcio e che possa fungere da paradigma per quanto riguarda appunto la correttezza».
Si potrebbe restare ore con Luca a parlare della sua visione dello sport, dei consigli per una pallavolo più ricca, in tutti i sensi, ma la curiosità sugli aspetti più personali della sua vita portano il discorso altrove, alla scoperta di un ragazzo dalle mille qualità, mille interessi, progetti e altrettante sorprese.
– Nell’ambiente pallavolistico in cui sei inserito i tuoi interessi culturali che vanno al di là dello sport sono più un’eccezione o puoi condividerli con diversi compagni del mondo agonistico?
«Da questo punto di vista sono più un’eccezione. Gli altri sono spesso curiosi e interessati a ciò che faccio ma in generale non se ne occupano. È difficile trovare stimoli condivisi con gli altri atleti ma è comunque molto gratificante ed estremamente formativo per me il confronto con i giocatori più grandi che, con le loro esperienze, indubbiamente maggiori delle mie, mi hanno aiutato tantissimo in questi anni».
– Parlando in generale della tua esperienza agonistica: com’è nato lo stimolo di giocare a pallavolo e cosa hai dovuto sacrificare per far parte di questo mondo?
«Il tutto è nato per caso, quando andavo a scuola. All’inizio, come capita la maggior parte delle volte, era un hobby tranquillo. Dopo qualche tempo diverse società mi hanno chiesto di andare fuori a giocare, in giro per l’Italia, ma io ho scelto di temporeggiare, di ritagliare i miei spazi. Ho avuto la fortuna di avere amici, compagni, professori eccezionali e visto che per me la scuola non è mai stata secondaria ho aspettato prima di allontanarmi da casa. Finito il Liceo sono partito per Roma e da lì è cominciata la salita. Ho trovato difficoltà all’inizio e le trovo anche ora. Affronto le cose cercando di stimolarmi e di cercare continuamente il mio equilibrio personale».
– Nuova stagione in campionato con Piacenza che quest’anno è tra le favorite assieme a Macerata. Quanto questi pronostici, a tuo parere, sono stati condizionati dalle partenze all’estero di diversi giocatori che facevano prima parte del campionato italiano e quanto sono invece riferiti più direttamente alle potenzialità di una squadra come Piacenza che, fin dall’anno scorso, ha combattuto fino all’ultimo per lo scudetto?
«Di sicuro sono rilevanti le partenze di grandi atleti, come nel caso di Trento. Noi e Macerata siamo le più forti sulla carta ma tutto deve essere confermato sul campo, basti proprio vedere l’esito della Supercoppa vinta da Trento contro la Lube Macerata. Anche le “grandi” devono stare attente a squadre che sembrano inferiori ma che in realtà hanno una storia e delle potenzialità da non sottovalutare. Penso che quest’anno ci si potrà aspettare molto da Perugia e Latina e, in generale, il campionato si giocherà a livelli molto alti».
– Quali sono i tuoi obiettivi stagionali e quelli, in generale, di Piacenza?
«Innanzitutto arrivare ben piazzati alla fine del girone di andata, così da mettersi in gioco per la Coppa Italia che è un ottimo obiettivo per iniziare. Per quanto mi riguarda sarà necessario trovare fin da subito un buon ritmo di squadra e un’intesa col palleggiatore, visto che non ci siamo allenati molto insieme prima dell’inizio del campionato. Naturalmente tutto questo è in vista dei più illustri obiettivi finali».
– Dal 19 al 24 Novembre l’Italia parteciperà alla Grand Champions Cup in Giappone. Cosa ti aspetti da questa competizione che non sarà priva di difficoltà, visto anche il differente fuso orario (le partite si giocheranno alle 5:10 italiane) e il debutto proprio contro la Russia?
«Neanche sapevo si giocasse a quell’ora. Grazie della bella notizia! -scherza-. In Giappone si tratterà di giocare partita dopo partita ma questo è un torneo in cui non contano molto i risultati del ranking. Si giocherà più per una nostra soddisfazione, per il piacere stesso di far parte delle Nazionali più forti al mondo».
– Ormai per tutti sei il “Killer silenzioso”: trovi appropriato questo titolo che ti ha affidato Andrea Lucchetta?
«Diciamo che è piuttosto ininfluente il modo in cui mi definiscono, perché io rimango sempre me stesso, a prescindere da ciò che mi ruota attorno. Certo, questo titolo non mi fa impazzire, ma capisco perché mi è stato dato: il mio volto -ride- non è troppo espressivo».
– Le tue passioni ti hanno reso il “pallavolista filosofo” per antonomasia. Tra tutti qual è il filosofo che preferisci?
«Vado molto a periodi. Al momento potrei dire Heidegger perché mi sono imbattuto nelle sue opere leggendo Eugen Fink. In generale apprezzo la filosofia e la letteratura contemporanea. I prossimi che ho intenzione di leggere saranno i francesi, primi tra tutti Foucault e Deleuze».
– Un consiglio di lettura, il libro che ritieni essenziale, che per te è stato particolarmente formativo.
«Direi “I dolori del giovane Werther” di Goethe, forse perché l’ho letto nel periodo giusto, quando ero a scuola. Poi uno dei miei scrittori preferiti è Chatwin: mi piacciono la letteratura e i racconti di viaggio. Andando un po’ più sul pesante -quindi finora eravamo sul “leggero”- amo molto Pavese e Pasolini».
– Se non fossi un pallavolista come ti vedresti ora?
«Di sicuro nel mondo universitario. Quell’universo mi affascina da sempre, con le sue contraddizioni, la convivenza in appartamento, la vita e il clima di amicizia. Non che qui, facendo quello che faccio, non abbia amici, ma è una cosa diversa. Ho capito però che c’è un parallelismo tra me e i miei amici che studiano all’università: non c’è una differenza così categorica perché a tutti capitano i periodi di difficoltà, le incertezze, le tensioni. Le nostre vite non sono poi così distanti».
– Programmi a lungo termine, sia sportivi che non?
«Mi piacerebbe trovare uno sbocco in cui indirizzare le mie passioni extra-sportive anche se non so ancora in che termini. Lo studio fine a se stesso rischia di diventare inutile: è necessaria una chiave per poter esprimere tutto questo in un senso più pratico».
È davvero un piacere confrontarsi con Luca Vettori, un piacere affatto sterile perché, come scrisse Cesare Pavese, “non si parla solamente per parlare, per dire “ho fatto questo” “ho fatto quello” “ho mangiato e bevuto”, ma si parla per farsi un’idea, per capire come va questo mondo”.
Ringrazio di cuore Luca per il suo tempo e la sua cortesia, augurandogli il meglio per il suo futuro, sia fuori che dentro il campo.
Un sentito ringraziamento anche a Luca Monti, allenatore di Piacenza, e ad Elisa, responsabile della Copra Elior, per la loro completa disponibilità.
Credit foto: Elena Zanutto e Lorenza Morbidoni
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