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‘Cogito, ergo sport’: perché Jessica Rossi è meglio di Batman
“Infelice quel mondo che ha bisogno di eroi”
Bertolt Brecht
Brecht non ha allora tutti i torti perché forse è davvero infelice quel mondo che ha bisogno di eroi, che non si accontenta delle donne e degli uomini semplicemente eroici, capaci di agire al meglio senza il bisogno di cercare ovazione. Meno infelice potrebbe essere quel mondo dove una giovane emiliana, cosciente delle proprie capacità, disposta a sacrificare tempo ed energie per il proprio obiettivo, sicura di sé, meritevole di lodi ma non in cerca di esse, stupisse la gente per la sua umiltà prima ancora che per la sua grandezza. Ad un mondo così basterebbe una Jessica Rossi, cognome comune, abilità rare; età fiorente, saggezza perfezionata; Oro olimpico, campionessa mondiale ed europea, recordwoman a soli vent’anni.
Nessuno avrebbe avuto da ridire se Jessica si fosse lasciata acclamare come un’eroina capace di imprese mai compiute prima. Il fatto di ottenere cinque record del mondo è sinonimo di superiorità cinque volte superiore rispetto alla norma, anzi, rispetto ai migliori. Colpire 99 piattelli su 100 nel tiro al volo in una finale olimpica, imporsi ai vertici più alti a partire dal 2007 e mantenere il titolo come se questo fosse ormai una sua proprietà basterebbe a rendere, agli occhi della maggior parte, questa donna una Superdonna con tutte le caratteristiche che la determinano: pericolosa, armata, decisa, impavida. Per molti è così ma non per Jessica che vive il proprio successo, i trionfi, le doti stra-ordinarie che possiede con una naturalezza ben lontana da quella hybris che connota l’immagine di eroe antico e contemporaneo.
Le Olimpiadi di Londra hanno dato all’allora ventenne una visibilità ben più ampia di quella destinata agli appassionati del tiro al volo perché sfiorare la perfezione con una tale disinvoltura è una prerogativa assai rara, persino tra i veterani. Il segreto di quella sicurezza Jessica l’ha svelato subito dopo aver ascoltato l’inno che suonava per lei: “Sono quattro anni che non lascio nulla al caso per venire a vincere qui. Da quando sono a Londra mi sono sempre addormentata come se avessi la medaglia al collo. Questa gara me la sono immaginata così un sacco di volte, è come se l’avessi già vissuta”.
Come se niente fosse, come se avesse solo fatto il proprio dovere, come se la sua impresa fosse la naturale conseguenza degli allenamenti, dei sacrifici, della passione che l’ha guidata fin qui. Come se il concetto di supererogazione, dei meriti per chi va oltre i propri doveri, non avesse senso perché anche un successo come quello ottenuto ai Giochi, persino i record e le medaglie ai mondiali, tutto questo è “semplicemente” umano.
L’eroe è chi va oltre la grande azione, l’obbligo, la norma; Jessica Rossi si presenta invece come la donna che si è limitata a fare ciò che sa fare e, anzi, come l’atleta che di fronte alla tragedia vissuta dall’Emilia e dalla sua stessa famiglia per via del terremoto, non esita a definire le priorità, dedicando l’Oro alla sua gente che, come lei, “tiene botta e non deve mollare mai”.
Perciò non è poi tanto male se “siamo dentro a un mondo senza eroi” (Pierdavide Carone) perché, come dice Batman, “chiunque può essere un eroe, anche un uomo che ha fatto qualcosa di semplice” (dal film Il cavaliere oscuro -Il ritorno): la vera sfida è rimanere uomo, pur essendo eroe.