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Cinque Cerchi di neve: il mito del Rosso Volante

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La divina penna di Gianni Brera lo ha fatto passare alla storia come il “Rosso Volante”, ma il suo nome è Eugenio Monti: il mito del bob, la leggenda delle slitte.

Nato a Dobbiaco, in Val Pusteria, nel 1928 da genitori del Cadore e della Carnia, inizia con lo sci alpino: a livello giovanile e studentesco, gli capita spesso di battere Zeno Colò, non uno qualunque. Una serie di incidenti alle ginocchia, tuttavia, gli preclude la possibilità dell’agonismo, per un ragazzo che avrebbe avuto tutte le doti per diventare un campionissimo del gigante o della discesa. Deluso e arrabbiato-nel frattempo i Giochi di Oslo 1952 se n’erano andati, consacrando peraltro proprio Zeno Colò-decide di dedicarsi al bob: quasi un ripiego, una seconda scelta. Eppure, è lì che nasce il suo grande amore, è lì che inizia a costruire, mattone dopo mattone, una carriera straordinaria.

Inizia a collezionare titoli nazionali, in particolar modo sull’amata pista di Cortina d’Ampezzo che oggi porta il suo nome: nel 1957 arriva il primo di 9-nove!-Mondiali, in coppia col fido ampezzano Renzo Alverà, compagno di mille vittorie. L’anno prima, proprio a Cortina, due argenti olimpici, nel bob a due e in quello a quattro: l’edizione successiva dei Giochi Invernali non prevede invece, per ragioni economiche, il suo amato sport.

Ma il Rosso Volante ha nel mirino il bersaglio grosso, quell’oro a cinque cerchi che tanto brama, che lo riscatterebbe da piccole e grandi sfortune: ci prova a Innsbruck, nel 1964, ma si deve accontentare di un doppio bronzo. Nella prova a coppie, assieme a Sergio Siorpaes, è peraltro protagonista di un meraviglioso episodio di sportività che lo porta a conquistare, primo caso nella storia, la medaglia “Pierre de Coubertin”: poco prima della seconda discesa, i britannici Tony Nash e Roby Dixon, secondi in classifica, sembrano prossimi a non gareggiare a causa della rottura di un bullone del loro mezzo. Che cosa fa Monti? Accetta, magari con un sospiro di sollievo, il ritiro dei rivali più pericolosi? No. Si mette a cercare, nell’officina italiana, il bullone mancante e lo dona agli inglesi. Inglesi che vincono quella gara davanti a Sergio Zardini/Romano Bonagura e all’altro equipaggio italiano. Lo stampa non la prende bene, con quel gesto ha privato l’Italia di una storica doppietta: il Rosso Volante, senza paura, risponde che Nash “ha vinto perché è andato più veloce, non grazie al mio bullone”.

Il destino, però, gli restituisce tutto. All’ultima chiamata della carriera, ormai quarantenne, ai Giochi di Grenoble 1968, sotto lo sguardo severo dell’Alpe d’Huez. Oro nel due, con Luciano De Paolis; oro nel quattro, con De Paolis, Armano e Zandonella. Monti è storia, Monti è mito.

Monti è una vita travagliata: un matrimonio poco felice, la morte di un figlio, guai con la giustizia, la diagnosi, in tarda età, del morbo di Parkinson. E un colpo di pistola alla testa, il 30 novembre 2003, ormai dieci anni fa, per porre fine a tutto, battendo sul tempo l’ultimo avversario.

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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foto tratta da ilsole24ore.com

2 Commenti

1 Commento

  1. Luca46

    13 Novembre 2013 at 21:16

    Una leggenda per sempre

  2. richita

    13 Novembre 2013 at 20:27

    Un grande dello sport e soprattutto della sportività.Non so quanti avrebbero fatto quel gesto del bullone per giocarsi una medaglia olimpica.Avercene di esempi cosi.

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