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Clemente Russo: ‘Il no al professionismo? Vi spiego perché…”

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Un Clemente Russo a 360 gradi. Ancora, giustamente entusiasta per il recente titolo mondiale dei pesi massimi conquistato ad Almaty. E già proiettato verso un futuro a medio-lungo termine.
Un’intervista esclusiva in cui ‘Tatanka’ ci ha svelato diversi dettagli interessanti, primo fra tutti il vero motivo sul suo mancato (per ora…) passaggio tra i professionisti.

Subito una provocazione. La boxe italiana, per rilanciarsi, ha bisogno di iniziative fantasiose ed in grado di suscitare l’interesse delle masse. Negli ultimi dieci anni i migliori esponenti del pugilato italiano dilettantistico sono stati Clemente Russo e Roberto Cammarelle. Quante volte ci siamo chiesti chi vincerebbe tra voi due… Perché allora non organizzare un grande show con una sfida epocale tra di voi?
Io ci sto, vediamo Roberto cosa dice. Cammarelle è un grandissimo, per ora il pugile più vincente in Italia tra i dilettanti. Bisogna vedere innanzitutto se avrà ancora voglia di continuare la sua attività agonistica“.

Ai Mondiali di Almaty hai vinto tutti gli incontri con verdetto unanime: apparentemente, un titolo conquistato con facilità.
Non è stato facile. All’inizio ero molto teso, non combattevo da 8 mesi a causa dell’infortunio alla spalla e di problemi familiari. Infatti nel primo match non mi sono piaciuto. Dopo mi sono sciolto nel corso del torneo e sono andato in crescendo‘.

Dopo il trionfo di Almaty, non sono mancate critiche da parte degli scettici. Il solito ritornello: ‘Perché Russo non tenta la strada del professionismo’?
Voglio fare chiarezza una volta per tutte sulla questione. La motivazione è economica. Dopo le Olimpiadi di Pechino andai in America e parlai con Don King. Sapete cosa mi disse? ‘Ragazzo, tu come dilettante guadagni più di un professionista. Torna dopo le Olimpiadi di Londra 2012 e vedremo cosa fare’. Non si è più fatto sentire. Nella mia condizione attuale, non mi posso lamentare. Il professionismo sarebbe un salto nel vuoto, dove magari ti infortuni subito ad un polso e sei finito. La verità è che nessuno è venuto ad offrirmi la luna per passare professionista. Se si presentasse qualcuno con una valigia da 1 milione di euro, chiaramente direi di sì. Ma ad una condizione: dopo le Olimpiadi di Rio 2016. Quelle sono il mio grande obiettivo della carriera, voglio vincere l’oro“.

Hai più rimpianti per la sconfitta per la finale di Pechino o per quella di Londra?
Sicuramente per quella di Pechino: dovevo vincere. A Londra non erano preparato al meglio, avevo vinto le World Series a giugno ed in un mese e mezzo dovetti riadattarmi a tornare fra i dilettanti. Fu un grande risultato, considerando queste premesse“.

Ti piace la nuova boxe dilettantistica voluta dall’Aiba, sempre più vicina a quella dei professionisti?
Sì, sono d’accordo con le nuove regole, ma apporterei dei correttivi. A noi pugili piace combattere senza caschetto, ma a questo punto bisogna allungare la durata delle competizioni. Combattere tutti i giorni risulta difficile e si fa fatica a recuperare. Se ad esempio hai un occhio gonfio, il giorno dopo non ricevi l’idoneità medica per scendere sul ring e sei fuori. Invece, in 4-5 giorni, il gonfiore sparirebbe. Insomma, bisogna tutelare i pugili. Nelle World Series, in pratica, ciascuno di noi, per regolamento, combatte ogni 15 giorni e questo cambia tutto“.

Tornando al discorso del professionismo: se davvero tenterai questa nuova avventura dopo il 2016, ti piacerebbe sfidare un giorno uno dei fratelli Kitschko, se saranno ancora in attività?
Certo, sarei pronto e non avrei alcun timore di affrontarli“.

In un futuro a lungo termine, ritieni inevitabile per te un ruolo da allenatore?
Sì, sarà uno sbocco naturale. Già ora sono una specie di allenatore, i ragazzi più giovani vengono sempre da me per chiedermi dei consigli che concedo volentieri“.

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