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Ciclismo
Fabrizio Macchi in esclusiva: “Mai smettere di sognare!”
A 13 anni, Fabrizio Macchi era un bambino allegro e vivacissimo, difficile da tener fermo, sempre impegnato a correre, a giocare al pallone, a pedalare. Tre anni, venti cicli di chemioterapia e diciassette operazioni dopo (una delle ultime porta in dote l’amputazione della gamba sinistra), Fabrizio diventa un uomo, inizia la sua “seconda vita”, dedicata allo sport e alla lotta per le pari opportunità dei disabili: vince tre edizioni della Maratona di New York, tre titoli nazionali di salto in alto e salto in lungo, fa da apripista ad Alberto Tomba ai Mondiali di Sestriere. Scopre il ciclismo, quasi per caso, e migliora quattro volte il record dell’ora, conquistando dodici medaglie mondiali e una olimpica, il bronzo nell’inseguimento ad Atene 2004. Quarantatré anni, varesino di Bobbiate, Macchi non ha alcuna intenzione di fermarsi: qui ci racconta la sua vita straordinaria, come ha fatto anche nello splendido libro “Più forte del male” edito da Piemme nel 2007.
A volte, pedalando per le strade del Varesotto, capita di imbattersi in un fenicottero elegantissimo, che pedala su una gamba sola. E trasmette una forza, non solo fisica ma anche interiore, ben superiore a chi di gambe ne ha due. Dove l’hai trovata questa forza?
“Francamente non so esattamente da dove arrivi; certo, tutta la mia esperienza giovanile in ospedale ad affrontare il cancro ad appena 13 anni mi ha fatto crescere in modo veloce. É altrettanto vero che ho sempre avuto un carattere combattivo e conquistatore, a me piace realizzare i miei sogni e cerco sempre di metterci il 110%. Altro aspetto fondamentale è il supporto dei miei genitori che ha contribuito a formare la mia personalità”.
Torniamo proprio all’inizio, alle estati adolescenziali che passavi tra l’ospedale di Milano e quello di Bologna. E a quella decisione, al medico che ti propone l’amputazione per farla finita con un periodo troppo lungo e troppo pesante. Quanto ci hai pensato prima di quella scelta?
“Qui riprendo la risposta che ti ho appena dato: i miei genitori sono stati speciali anche in questo, hanno dato la possibilità ad un ragazzo di prendere una decisione così complicata che avrebbe segnato la vita del proprio figlio per sempre. Per me è stata una decisione-flash, ci ho messo un nanosecondo. La mia vita in quel momento e il mio stato di salute erano assurdi, non potevo fare una scelta migliore; trent’anni dopo, sono sempre più fiero e convinto di quanto fatto quel giorno. Via la gamba”.
Poi però, anche nella seconda vita di Fabrizio Macchi arriva lo sport: come inizia tutto e quali sono i passaggi che ti portano alla bicicletta?
“Lo sport ha sempre fatto parte di me, da piccolo ovviamente il mio desiderio era quello di diventare un campione. Ho dovuto parcheggiare il sogno per qualche anno, poi ho trovato come realizzarlo. Inizialmente, lo sport era uno strumento per ritornare in forma e per poter fare tutto ciò che facevano i miei coetanei, poi è diventato il mio lavoro. La bici è iniziata quasi per caso o per scommessa. Poi ho scoperto che era il mezzo migliore per esprimere il mio potenziale e i risultati ottenuti ne sono la testimonianza“.
Dodici medaglie mondiali, un bronzo olimpico: c’è qualche successo a cui sei particolarmente legato?
“Credo il mio oro iridato vinto nel 2009 a Bogogno, in Italia, vicino a casa; c’erano anche mia moglie e mio figlio Thomas, un’emozione davvero indescrivibile”.
In tutto questo anche qualche delusione: la mancata partecipazione alle Paralimpiadi di Londra per una caccia alle streghe esagerata, dalla quale sei uscito pulito. Lo scandalo di quest’estate, quando ti sei trovato a gareggiare contro atleti “con due gambe”. Come hai vissuto questi momenti?
“Sono vicende che appartengono al passato e che sono servite per migliorare il mio presente. Per il futuro sarò ancora più forte e determinato, basandomi sempre più su me stesso, sulla mia passione, sulla mia famiglia. Spero così che il mondo dello sport si dimostri più attento a valorizzare le risorse umane, non ad annientarle“.
Quanto c’è ancora da fare, secondo te, per far conoscere e crescere lo sport paralimpico?
“Si è fatto molto. I Giochi di Londra 2012 hanno dato un impulso veramente forte, adesso sta a tutti noi continuare a crescere senza avere paura di nulla, nemmeno delle diversità”.
Dopo una carriera così, c’è ancora un sogno che vuoi realizzare?
“Io sogno tantissimo, per me ogni giorno c’è uno spazio per inseguire e realizzare nuovi progetti. Chi si ferma è finito, ma anche chi rallenta”.
In conclusione, qual è il messaggio della storia di Fabrizio Macchi?
“Che nulla è impossibile, basta crederci veramente fino in fondo. Come ho scritto qualche giorno fa sul mio profilo Facebook, <<E comprese che la diversità è bella perché dona a tutti grandi abilità e che se ti ami per ciò che sei, troverai sempre il modo di fare ciò che vuoi...>>” .
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com