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Rugby, problemi italiani: la difesa è irriconoscibile

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Nick Mallett, durante la sua gestione, ne aveva fatto uno dei punti di forza della sua pragmatica e poco appariscente Italia. Nel credo del ct sudafricano, tutt’altro che votato al gioco ‘champagne’ e fantasioso, i punti fondamentali erano principalmente due: mischia devastante e difesa invalicabile, con conseguente scarso utilizzo dei trequarti e poca attitudine a fasi offensive manovrate. Un rugby prevalentemente di trincea e di solo ‘cuore’, spesso criticato da tifosi ed appassionati della palla ovale azzurra, in netto contrasto, invece, con il pensiero rugbistico di Jacques Brunel, ben più rivolto alla cura della manovra d’attacco.

Una delle linee guida dettate dal transalpino al suo arrivo, infatti, riguardava l’equilibrio da raggiungere tra il lavoro degli avanti e dei trequarti ma non solo, anche dell’attacco e della difesa, sfatando il tabù di un Italrugby in grado di affidarsi solamente alla pacchetto di mischia e a una difesa ad oltranza. E dalle parole, in effetti, il baffuto tecnico d’Oltralpe era passato ai fatti, test match di novembre 2012 e Sei Nazioni 2013 dixit; un exploit, però, a cui non sono seguite conferme, anzi. Per quanto Brunel abbia tirato, la coperta è rimasta decisamente corta, aggiungendo un pizzico di verve e di imprevedibilità in attacco, ma al contempo ‘trascurando’ la fase difensiva e, apparentemente, abbandonandola al proprio destino. Il risultato? Le dodici mete subite in due partite, sette dall’Australia e cinque dalle Fiji, numeri che fanno rabbrividire se si pensa che tra lo scorso novembre e l’ultimo Sei Nazioni (otto partite) le mete incassate furono sedici. Un’involuzione preoccupante, accennata a giugno in Sudafrica e manifestatasi inequivocabilmente nelle ultime due settimane, quando la retroguardia azzurra ha assistito senza possibilità di reagire alle scorrazzate di australiani e figiani, entrati nelle maglie della difesa italica come un coltello nel burro. Era da tempo immemore che l’Italrugby non palesava simili lacune nella linea arretrata, nell’uno contro uno come nell’organizzazione collettiva: tanti, troppi i placcaggi mancati e le collisioni perse individualmente, a tratti sconcertanti i problemi di squadra nel posizionamento e nella lentezza nel ricostituire la linea, oltre all’assoluta mancanza di coesione nei momenti in cui tutta la squadra è chiamata a salire per anticipare l’avversario. Non reggono le alibi delle assenze di Masi, Minto e Favaro, tra i migliori difensori azzurri ma che difficilmente avrebbero potuto cambiare le carte in tavola.

L’impressione, però, è che i problemi non siamo meramente tattici e organizzativi, ma anche di testa. Da Mallett a Brunel, il cambio è stato sostanziale nella mentalità, forse anche troppo, tanto da indurre gli azzurri a distaccarsi da un determinato tipo di atteggiamento difensivo. E in un momento di tali difficoltà, un passo indietro verso gli anni delle trincee sarebbe comprensibile, nonché arguta e razionale.

Foto: eurosport.yahoo.com

daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

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