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‘Cogito, ergo sport’: una Cometa per la “grotta” di Lampedusa

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“Al lavoro si contrappone un altro tipo di sforzo che non nasce da un’imposizione, ma da un impulso veramente libero e generoso della potenza vitale: lo sport.
José Ortega y Gasset

Sport come impulso; sport come libertà; sport come potenza vitale. Ad ogni livello, su ogni campo, per ogni contesto lo sport può essere “una grande lezione, una continua e meravigliosa palestra di valori” (Alex Del Piero), ed esistono casi in cui esso diviene la speranza, la salvezza, la cometa per chi non chiede altro che una rotta per ridar senso alla propria vita.

È capitato nell’ottobre del 2011, esattamente due anni prima del dramma di Lampedusa, un miracolo da ricordare come segno d’augurio per un Natale ancora scosso dalla tragedia, ferito da quelle 365 “anime salve in terra e in mare” (De André).

Si chiamano Kofi Amoah e Kwame Attiah Rubin i due fratelli ghanesi che vivevano in una Libia sconvolta dalle rivolte e dalle rappresaglie, costretti ad abbandonare la loro terra e il resto della loro famiglia quando la guerra civile non diede loro alternativa. Giorni interi passati a combattere contro l’irruenza del mare, il freddo dell’acqua, la fame, la paura su un gommone diretto verso la salvezza. Nessuna stella a indicare il cammino a uomini, donne, bambini in cerca della loro grotta di Betlemme, ma una grande fiducia, una speranza di raggiungere la bell’Italia, unica via di fuga dai fantasmi del passato.

Pareva già un miracolo l’essere sopravvissuti entrambi a quell’impresa, la tredicesima fatica di Ercole, ed essere stati accolti per diritto di asilo politico, ma inesorabile è stata la separazione dei due fratelli, tra controlli giudiziari e visite sanitarie, in strutture diverse. Senza possibilità di contatti, senza sapere nulla del destino dell’altro, Kofi e Kwame hanno visto allontanarsi l’unico legame rimastogli con la propria famiglia. Ed in questo avvicendarsi di fortune e avversità, pericoli, successi, difficoltà, si inserisce il ruolo salvifico dello sport, quel gioco nato per divertire, affascinare, competere, misurarsi, sopravvivere.

Kofi Amoah e Kwame Attiah Rubin

Per caso o per destino due strutture toscane che ospitano rifugiati hanno organizzato una partita di calcio a Orbetello e all’entrata in campo delle due formazioni i due ghanesi, figli della stessa madre, hanno riconosciuto nell’avversario un fratello, nel senso letterale del termine.

Lo sport è da sempre la culla d’integrazione per eccellenza, di scambio, relazione, il luogo d’incontro, in questo caso ri-incontro, confronto tra avversari/amici, stranieri/compagni; universo dell’Olimpiade, fonte d’aggregazione per i più piccoli, evasione, svago, concentrazione. Come Re Magi, Kofi e Kwame hanno trovato nello sport la loro cometa, perché è importante “determinare la rotta guardando le stelle e non lasciarci ingannare dalle luci incerte di navi lontane che passano” (Romano Battaglia).
Quelle navi lontane sono spesso gommoni che non sempre riescono a trovare la rotta, non sempre sono accolti da una grotta pronta a dar loro l’aiuto che implorano, non sempre sono guidati dalla provvidenziale cometa.
Due anni fa un miracolo c’è stato e l’augurio per questo Natale è che, come due millenni fa, nuove comete tornino a illuminare le vite di genti erranti per la terra, consapevoli del fatto che magari anche un pallone può diventare la stella che cercano.

 

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