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‘Cogito, ergo sport’: uno “sguardo” su Salernitana-Nocerina
“Serve a qualcosa anche chi non fa altro che stare a guardare ed applaudire”.
Con queste parole lo scrittore Henry Adams di certo non intendeva sottolineare ciò che di più deplorevole vi può essere in una tifoseria che si spinge oltre lo “stare a guardare”, giungendo a minacciare i giocatori della loro stessa squadra perché si rifiutino di scendere in campo.
Un mese fa i giornali, la politica, oltre che naturalmente il mondo dello sport, non parlavano che di un derby calcistico di Lega Pro, una partita finita prima ancora di cominciare, una giornata in cui chi sta a guardare ed applaudire ha “fatto altro”.
Intimidazioni, minacce, avvertimenti sono stati l’alternativo “sostegno” del gruppo ultras alla Nocerina, intenta a disputare la gara contro la rivale Salernitana.
Prima ancora di infierire sui fatti accaduti nel momento della partita e subito dopo, si potrebbe considerare il tipo di misure preventive prese dal Comitato sicurezza del Viminale per evitare disordini durante un incontro ritenuto caldo, considerati i precedenti scontri tra le due tifoserie. Dal punto di vista dei tifosi questo è stato avvertito come una sorta di “guerra preventiva” che ha finito per peggiorare una situazione già di per sé complessa. Il divieto imposto ai supporters della Nocerina di recarsi allo stadio Arechi per motivi di sicurezza non ha fatto altro che scatenare un’intemperie più grave del previsto. “O ci siamo anche noi, oppure non dovete esserci neppure voi“, e con questo grido i giocatori rossoneri si sono sentiti costretti ad abbandonare il campo, simulando vari infortuni per interrompere il gioco dopo solo 20 minuti perché “se la sono fatta sotto”, come racconta a La Stampa un calciatore della squadra che, secondo quanto stabilito dal giudice sportivo di Lega Pro, è stata sanzionata con una sconfitta a tavolino per 3 a 0 in favore della Salernitana.
Si potrebbe discutere per giorni interi e coinvolgendo vari settori per trovare strategie adatte ad evitare simili drammi, perché di dramma si è trattato, vista l’immagine di sport che è risultata dal disonorevole evento; si potrebbe contestare la decisione dei giocatori che non se la sono sentita di fare il proprio dovere in campo. Molte cose si potrebbero considerare, ma innanzitutto è necessario interrogarsi su quale sia il senso non tanto del gioco in sé, quanto del tifoso, di chi si reca allo stadio o al palazzetto, di chi accende la tv per incitare, supportare, acclamare, tifare i propri idoli, la propria squadra, i rappresentanti della nazione cui si appartiene.
Al tempo dei Greci lo spettacolo più importante di qualunque altra rappresentazione era l’Olimpiade a cui, come spiega il filosofo contemporaneo Emanuele Severino, si recavano tre generi di persone: i mercanti, in cerca di affari d’oro in occasione dell’evento per eccellenza; gli atleti, affamati di vittoria e di gloria; ed infine gli spettatori, coloro che andavano ad Olimpia al solo scopo di guardare. Ma il theorein dei Greci era un gettare lo sguardo sulla totalità, sull’assoluto; era un vedere per conoscere, per giungere alla verità come fine ultimo. Il contemplare non è mai un astratto guardare: diventa addirittura un atteggiamento pratico nei confronti della vita, una vera e propria scelta morale.
Seguire uno sport, applaudire il campione, incitare il gruppo non è un puro momento di svago né un semplice “vedere”: è conoscere un mondo diverso, non alternativo, bensì complementare al quotidiano; è trasmettere energia per riceverne altrettanta; è uno scambio di forze, d’opinioni, di rispetto e di riguardo. Contemplare un gioco è restare rapiti dalla meraviglia, non dissimile da quella aristotelica: è meravigliarsi di fronte all’umana capacità di organizzare il proprio corpo, il proprio tempo e lo spazio attorno, di armonizzare il rapporto tra sé, gli altri e il mondo esterno. È perciò quel vedere incondizionato, un vedere per vedere, che diventa “contemplazione divina”, aspirazione alla visione pan-oramica, cioè del tutto, dell’intero.
L’atleta che fa sport passa ore ad esercitare il corpo, affinare la tecnica, concentrare la mente; il tifoso, colui che guarda e applaude, dovrebbe fare lo stesso, tornando ad allenare lo sguardo, comprendere, conoscere, meravigliarsi, scegliere di vedere per contemplare alla maniera dei Greci, non per svuotare le proprie frustrazioni settimanali o per prevalere sull’altro.
La bellezza dello sport nasce dagli occhi di lo guarda. Come scrisse André Gide, “l’importanza sia nel tuo sguardo, non nella cosa guardata”, la meraviglia nasca dal senso dato a ciò che si osserva, la vittoria parta dagli spalti prima ancora che dal campo.
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