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Sochi 2014: il problema sicurezza è reale
I recenti attentati di Volgograd, città storicamente nota come Stalingrado, a 688 km da Soči, hanno seriamente posto il problema della sicurezza in Russia per quanto riguarda l’organizzazione dei prossimi Giochi Olimpici invernali. Quella della sicurezza, in realtà, è una questione che la Federazione Russa affronta quotidianamente in gran parte del proprio immenso territorio (oltre 17 milioni di kilometri quadrati), attanagliata dall’azione di gruppi che agiscono con fini totalmente diversi, dalle attività criminali alla difesa dei diritti delle minoranze etniche, ma che spesso hanno un modus operandi molto simile.
Subito dopo gli attentativi di Volgograd, le autorità russe, che sanno bene di essere sotto esame in occasione di questi Giochi Olimpici, ci hanno tenuto a tranquillizzare tutti, rinforzando le misure di sicurezza negli aeroporti e nelle stazioni, e annunciando una mobilitazione straordinaria per Soči 2014, quando saranno schierati 40.000 uomini nelle sole località olimpiche.
La regione del Caucaso, della quale fa parte anche Soči, è un crocevia di tante etnie più o meno numerose. La possibilità di organizzare le Olimpiadi in quest’area, mettendo in atto un programma di sviluppo economico e delle infrastrutture, veniva visto dal governo di Mosca come un metodo per riavvicinare questa regione remota al centro del potere russo, limitando così le spinte centrifughe esistenti. Ma i Giochi Olimpici possono rappresentare anche una grande cassa di risonanza, soprattutto per la minoranza musulmana, che sin dai tempi dell’Impero zarista sogna di edificare uno stato islamico indipendente nel Caucaso del nord.
Nel frattempo, sono numerose le voci che si sono espresse sugli attentati di Volgograd: la prima è stata la campionessa mondiale di salto con l’asta, Elena Isinbaeva, che si è detta shockata dall’avvenimento. Anche il CIO, per bocca del Presidente Thomas Bach, ha espresso la propria solidarietà alle vittime, parlando di “attacco miserabile contro delle persone innocenti”. Lo stesso Bach ha scritto una lettera a Vladimir Putin, nella quale si è detto “certo che tutto sarà fatto per assicurare la sicurezza degli atleti e di tutti i partecipanti dei Giochi Olimpici”. In occasione del capodanno, poi, Bach ha ribadito di avere piena fiducia nelle autorità russe, e di non avere dubbi sull’efficacia del sistema di sicurezza che Putin ed il suo governo sapranno mettere all’opera.
Inoltre, alcuni altri Paesi, ad iniziare dagli Stati Uniti e passando per la Francia e la Germania, hanno proposto il loro aiuto alla Russia per garantire la sicurezza in occasione della manifestazione a cinque cerchi. “Il governo statunitense ha proposto al governo russo un sostegno pieno e integrale per i preparativi di sicurezza in vista dei Giochi Olimpici di Soči, ed accoglieremmo favorevolmente una cooperazione più stretta a beneficio della sicurezza degli atleti, degli spettatori e degli altri partecipanti”, ha dichiarato Caitlin Hayden, portaparola del Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC) degli Stati Uniti d’America.
Quello che è certo è che, in nome dell’abusato “the show must go on”, i Giochi Olimpici si svolgeranno regolarmente nelle date e nelle località previste, nonostante il problema della sicurezza in Russia sia reale e tangibile con mano. Qualcosa di facilmente pronosticabile, così come sono scontate le parole delle alte autorità dello sport e della politica, che si spendono sempre per condannare gli atti di violenza eclatante, senza interrogarsi sull’origine e sulle motivazioni degli stessi, e soprattutto senza prendere neanche in considerazione l’idea che coloro che dovrebbero garantire la sicurezza si rendono in realtà protagonisti di atti ben più violenti di quelli dei cosiddetti “terroristi”, per i quali gli attentati diventano spesso l’unico modo di rispondere a chi, in modo legale ma non legittimo, ha il monopolio della forza coercitiva.
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giulio.chinappi@olimpiazzurra.com