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Ciclismo
Vincenzo Nibali: fantasia, coraggio e un sogno chiamato Tour de France
Mesi duri, per un ciclista, quelli invernali. Freddo, pioggia, ripetute, uscite in solitaria, lunghi, medi, soglia e fuorisoglia. Solo alcuni dei termini tipici degli allenamenti. Lunghe ore, da soli con la biga. Per conoscerla, nuovamente, entrare in sintonia, selezionare obiettivi e porre le basi per raggiungerli. Questo periodo è finito. È tempo di tornare alle corse, di attaccare nuovamente il numero sulla maglia, di tornare ad assaporare l’odore della competizione, ascoltare il rumore del gruppo, uno sferragliare di catene sempre in sintonia.
Questo momento della stagione è speciale per tutti. Si incontrano compagni, con i quali si sono già condivisi i ritiri, e gli avversari. Sorrisi e scambi di battute prima di tornare a lottare, sul filo dei 70km/in volata o sulle montagne, in una sfida di nervi prima che di gambe.
Eppure c’è qualcuno che sente la pressione più degli altri. Sa che i prossimi 7 mesi possono cambiargli una già straordinaria carriera. È in Argentina, maglia azzurra dell’Astana. Siciliano. Ha vinto il Giro d’Italia e la Vuelta di Spagna, è salito sul podio al Tour. Eppure ha un sogno. A 10 anni dalla scomparsa di Marco Pantani vuole conquistare la maglia gialla: proprio il Pirata, mai dimenticato, è stato l’ultimo italiano a festeggiare sotto l’Arco di Trionfo a Parigi. Era il 1998 e Marco volava, dipingendo capolavori con quelle gambe fatate che si ritrovava.
Vincenzo Nibali è cresciuto, è maturato, sa che questo può essere l’anno buono. Un piccolo step alla volta, e ora è tra i migliori corridori al mondo: nessuno può negare questo fatto. Sono lontani i tempi in cui un giovane Nibali arrancava alle spalle di Alberto Contador al Giro del 2011. Ora lo spagnolo è costretto a guardarlo con rispetto, perchè Vincenzo non ha nulla da invidiargli.
E, in particolare, ha un cuore grande, che lo spinge a correre sempre per vincere, lo spinge oltre il limite della fatica. Lo spinge oltre le cadute e le delusioni. La grande capacità di Vincenzo Nibali è stata quella di guardare sempre avanti, senza mai sentirsi arrivato. Dopo aver superato un gradino è riuscito a puntare con decisione ad un altro, ancora più arduo da scalare. Corridore da grandi giri, è stato in grado di adattarsi anche alle classiche più impegnative: memorabile la Liegi del 2012, quando con un attacco veemente era quasi riuscito a conquistare la Doyenne con il cuore. Lo stesso cuore che a Firenze, dopo una caduta, l’ha costretto a rialzarsi e a riportarsi in gruppo per giocarsi le sue carte per il successo finale. Una quarta posizione amara, che però è rimasta negli occhi degli appasonati.
Perchè più di ogni altra cosa NIbali resta un ragazzo normale, senza eccessi. Tutto cambia quando sale in bicicletta, lo sguardo bonario sparisce per lasciare spazio ad una grinta difficile da immaginare. Come quando, sulle impervie rampe dell’Angliru, ha provato a fiaccare la resistenza di Chris Horner: uno, due, cinque, sette scatti, uno più violento dell’altro. La voglia di vincere l’ha portato a strafare, a cedere nel finale. Ma quella scalata rimane una perla nella carriera di Vincenzo.
Ora sì, è pronto per sfidare tutti. E sarebbe bello che fosse lui ad indossare la maglia gialla, a far risuonare l’Inno di Mameli in terra di Francia. La fantasia e il coraggio contro i watt e le strategie studiate a tavolino. La rivincita di un ciclismo antico, che rischia di essere dimenticato. Eppure, grazie a straordinari interpreti, riesce ancora a sopravvivere e ad emozionare; sarebbe bello coronare questo sogno con una vittoria. Quella cercata e desiderata: la Grande Boucle nuovamente nelle mani di un italiano. A 10 anni dalla scomparsa dell’uomo che più di tre lustri or sono ci aveva regalato un sogno.
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