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Biathlon, l’Italia è sbocciata a Sochi e non si fermerà

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Senza ombra di dubbio, il movimento del biathlon italiano, assieme a quello dello short track, è stato quello che ha regalato maggiori soddisfazioni nel contesto olimpico di Sochi, regalando quella medaglia che mancava ormai da 16 anni con Pieralberto Carrara. I quattro atleti che hanno gareggiato nella staffetta mista sono e vengono considerati ormai tra i big della disciplina. Andiamo ad analizzare per ognuno di loro l’andamento e le prestazioni per questi giochi.

Dorothea Wierer è il nostro “peperoncino”, simpatica e espansiva fuori dalla pista, precisa e letale al poligono grazie alla sua velocità di esecuzione. Sesta a sorpresa all’esordio olimpico nella sprint, è poi arrivata 17esima nell’inseguimento, con l’unico rammarico degli errori commessi nella prima serie in piedi. Un’infiammazione alla gola e la febbre l’hanno poi fermata nella seconda settimana, costringendola a saltare la 15 km dove poteva essere una delle favorite. Il rientro nella mass start è stato un allenamento per testare la condizione e ha chiuso alla grande la prima frazione nelle due staffette, sia mista che femminile, concludendo il lancio nelle prime posizioni. Questi giochi per Doro sono il trampolino di lancio per le prossime stagioni: il tiro è solido e naturale, ha ancora margini per il passo sugli sci, ma la direzione per il futuro è quella giusta.

Karin Oberhofer è il migliore risultato della programmazione dei nostri tecnici: la 28enne di Velturno in stagione ha sofferto parecchi problemi con la sfortuna, prima per un guasto alla carabina, poi con le cadute, infine con la febbre che l’ha costretta a saltare l’ultima tappa di Coppa del Mondo di Anterselva. Non ha mai mollato l’azzurra, rimboccandosi le maniche nel ritiro pre-olimpico di Zoldo Alto e arrivando a Sochi al meglio della condizione. Il podio sfiorato nella sprint, l’ottavo posto dell’inseguimento e i piazzamenti ottenuti nell’individuale e nella mass start sono la conferma di aver trovato un’atleta da considerare tra le big del circuito. Il suo punto di forza è la solidità, sia al poligono, sia mentale nella gestione della gara. Le prestazioni delle staffette poi sono la ciliegina sulla torta per quest’atleta, che più di tutte merita il bronzo conquistato nella staffetta mista di giovedì. L’ascesa di Karin nelle ultime due stagioni riflette la crescita complessiva del nostro movimento.

E che dire poi di Dominik Windisch? In stagione ha faticato molto, in particolare al poligono, ma sappiamo che il 24enne di Rasun ha bisogno di tempo per entrare in condizione ed è arrivato al top proprio nell’appuntamento olimpico. Appena fuori dalla top ten nella sprint, si è confermato nei 25 sia nell’inseguimento che nella mass. Le sue prestazioni nelle staffette sono state decisive. Impressionante nella sua frazione della staffetta maschile, capace di recuperare alla grande lo svantaggio da nazioni sulla carta più quotate. Dominik è ancora un atleta tutto da scoprire, nemmeno lui sa quali possono essere i suoi limiti: ha margine anche nelle percentuali al tiro, per cui siamo sicuri che nelle prossime stagioni ci farà divertire.

Su Lukas Hofer erano riposte le maggiori aspettative da parte di tutti i tifosi italiani. La vittoria della sprint di Anterselva lo aveva portato a Sochi con la consapevolezza di essere in ottima condizione, ma di aver anche colto il suo obiettivo stagionale, per cui la mente era piuttosto rilassata. L’errore all’ultimo bersaglio l’ha estromesso però dai 10 sia nella sprint che nell’individuale e il ritiro nella mass start, la gara che gli aveva regalato un bronzo ai Mondiali di Khanty Mansisk, avrebbe potuto tagliare le gambe a molti atleti. Ma non a Luki, che con il 10/10 nella mista ha riportato l’Italia sul podio olimpico e nella staffetta maschile si è permesso di sopravanzare alla grande un atleta del calibro di Martin Fourcade, terminando a pochi secondi da Svendsen. Quello sarà il prossimo obiettivo per Lukas, ossia riuscire a lottare con continuità con questi atleti, perchè ha dimostrato di averne tutte le possibilità.

Un risultato come quello ottenuto a Sochi non sarebbe stato possibile senza l’apporto di compagni di esperienza come Christian De Lorenzi, Markus Windisch e Michela Ponza. Fondamentale il loro contributo nelle staffette e negli allenamenti, loro che hanno saputo regalarci soddisfazioni nei momenti meno brillanti del biathlon italiano. Per Michela poi, giunta alla quarta Olimpiade, abbiamo terminato gli aggettivi: a 35 anni, nonostante gli affanni fisici, rimane una delle migliori tiratrici del circuito e un modello di riferimento per tutta la squadra.

Un modello che cercheranno di seguire Nicole Gontier e Alexia Runggaldier, giovani classe 1991 che hanno gareggiato per la prima volta ai Giochi: il loro ricordo delle esperienze a Sochi dovrà essere il punto di partenza per la crescita sportiva e mentale, perchè in queste stagioni che ci porteranno verso Pyongyang 2018 sapranno certamente regalarci ottime prestazioni.

Un elogio particolare è poi dovuto al prezioso lavoro di tecnici e skimen che hanno dato modo ai nostri atleti di poter centrare un risultato così importante. Fabrizio Curtaz, Patrick Oberegger, Patrick Favre e Alex Inderst hanno saputo cogliere risultati importanti, certamente migliori rispetto a nazioni che possono disporre di un budget nettamente superiore, dimostrazione di come in uno sport come il biathlon emerga la qualità, piuttosto che la quantità. Giacomo Tiraboschi, Simone Biondini e Julien Baudin per la realizzazione di materiali sempre performanti e velocissimi, infine le fisioterapiste Roberta Strim e Judith Egger.

Occhio però che non finisce qui, mancano ancora tre tappe di Coppa del Mondo (Pokljuka, Kontiolahti e Oslo Holmenkollen) e chissà che i nostri atleti non sappiano regalarci altre soddisfazioni.

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