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Intervista esclusiva a Mattia Viel: tra scuola e ciclismo, la vita di un diciottenne alle prese con bici e libri

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Tanto da dire, tanto da raccontare, troppo da fare. Una vita che di certo non è monotona. Mattia Viel, giovane ciclista italiano, racconta parte della sua esperienza: tra la corsa contro la maturità e gli allenamenti in bici. Un ragazzo che ha tanto da dire, non solo in bicicletta. Abbiamo parlato proprio con lui di quanto sta vivendo in questo periodo spaziando su diversi argomenti inerenti al suo mondo e al movimento ciclistico italiano.

Mattia, iniziamo da te: ci fai una piccola presentazione? 

“Ho 18 anni, vivo a Gassimo Torinese, un piccolo paese vicino a Torino, una grande città dove il ciclismo non è troppo praticato e non ci sono troppe squadre. Nonostante questo sono riuscito a crescere. Ho iniziato questo sport una volta mancata mia mamma, grazie anche a mio padre che lo praticava in precednza. Era anche un modo per svagarmi e così ho cominciato a pedalare. Andavo subito forte e crescendo mi sono reso conto del fatto che potevo continuare a fare bene arrivando fino a dove sono adesso. Ho sempre pensato che la formazione scolastica sia importante, anche per questo sto continuando, influenzato anche da quanto fatto da mia mamma, a frequentare la scuola. Ormai sono a pochi mesi dalla maturità, che sosterrò quest’anno”.

A soli 18 anni, corri nel vivaio dell’AG2R. Cosa rappresenta per te quest’esperienza? 

“È un’esperienza di vita: a 18 anni impari cosa vuol dire lasciare la famiglia, rimboccarsi le maniche, prendere il treno ogni venerdì, avere la propria casa, farsi il mazzo. A 18 anni mi guadagno anche i miei soldi. È proprio un’esperienza di vita importante: finita la maturità mi trasferirò lì e lascerò ‘definitivamente’ la mia famiglia, che vedrò una volta al mese dedicandomi molto allo sport. Però vorrei fare anche l’università in Francia. Sono soddisfatto di questa scelta, è un po’ come fosse la primavera di una squadra di calcio e molti dei ragazzi che corrono qui poi passano in prima squadra”.

Il tutto, dovendo ovviamente affiancare lo studio all’attività sportiva. Che scuola stai frequentando attualmente? Come fai a gestire entrambe le attività contemporaneamente?

“Frequento il liceo linguistico. Diciamo che lo stress è molto alto: sopportare tutta questa pressione fisico-psicologica è molto difficile. Devo fare anche tanta fatica proprio fisica. Se credi nel ciclismo pulito devi fare tanti chilometri e basta. Poi c’è la maturità, un forcing sui libri fino a giugno. È difficile ma se credi veramente in qualcosa tutto è possibile”.

Credi che il sistema italiano possa essere migliorato per aiutare quei ragazzi hanno impegni importanti anche al di fuori dei banchi di scuola? 

“Da quanto so, all’estero a 18 anni sono liberi e hanno finito la scuola e possono fare l’università, come in Francia ad esempio, o decidere di lavorare. In più credo si possa venire in contro agli sportivi, specialmente quelli che lo fanno ad alto livello. A volte sembra invece che mi vogliano mettere il bastone tra le ruote. A volte faccio proprio fatica e i professori mi vengono anche incontro: nel trovare un equilibrio tra sport e scuola in Italia siamo lontani, anche per quello che sento dai ragazzi delle altre nazioni. Si dovrebbe trovare un compromesso: tante cose nel programma sono inutili, si potrebbe far studiare l’essenziale a quei ragazzi che hanno altri impegni. A volte basterebbe poco, come mezz’ora in più per finire la verifica!”

Oltre alla strada pratichi anche attività su pista e in fuoristrada? 

“Ho fatto della pista, mai fuoristrada, anche se mi sarebbe piaciuto praticare ciclocross. Ho fatto europei e mondiali su pista, con un quarto all’europeo nell’inseguimento a squadre e un nono posto mondiale sempre nella stessa specialità. La pista credo aiuti molto a livello tecnico un corridore e in Italia siamo un po’ indietro. Apprezzo molto il lavoro di Marco Villa che sta cercando di dare visibilità alla pista. All’estero fanno molto più gare e c’è più visibilità: si può fare di più, e la pista serve tanto, l’ho provato in prima persona! “

Hai partecipato anche ai Mondiali di Glasgow, e non solo, su pista: che emozione è stata vestire la maglia azzurra? 

“Credo sia il sogno di qualsiasi ragazzo: una volta che ce l’hai addosso senti una grande responsabilità e sei portato a dare il 100%. Una maglia così la devi meritare e averla addosso è un vero e proprio privilegio”.

Come valuti il momento del ciclismo italiano? 

“Credo che in questo momento la crisi che c’è in Italia ha colpito anche lo sport. Ci sono sempre meno gare organizzate. Invece che fare molte gare se ne fanno di meno con molti partenti: ci sono poche corse e molti atleti non possono nemmeno correre. Lo trovo assurdo ma una corsa in Italia solitamente è preparata molto bene, anche per quanto riguarda la sicurezza che magari altrove è trascurata. Ad esempio in Francia ci sono tantissime corse, ma a volte sono organizzate a livello materiale nonostante siano gare d’elite. Credo questo sia un valore aggiunto al nostro movimento”. 

Dove ti vedi tra 5-6 anni? 

“Dal passaggio in questa categoria vedo un mondo nuovo: voglio fare tanta esperienza. Ho sognato tanto e fino ad adesso ho realizzato i miei sogni. Continuo a sognare e spero di vedermi con la maglia della prima squadra. Una volta finita questa maturità darò precedenza allo sport e mi impegnerò al 100%, e anche questa sarà una nuova esperienza per me”. 

Grazie ad allenamenti e stage stai iniziando anche a respirare l’aria del professionismo: come ti sembra questo mondo? 

“Credo che per un ragazzo come me che ha passato infanzia e adolescenza nel mondo del ciclismo sia la realizzazione dei propri sogni. Per loro è un lavoro, hanno anche meno ansia. Riescono a farlo per divertirsi e fanno un lavoro che permette loro di vivere appieno ciò che amano fare. Credo la vita del ciclista sia il top. 

 

Però vedo un mondo dove probabilmente è difficile psicologicamente rimanerci dentro tra ipocrisia e giro di soldi. Un mondo che devi toccare con mano per scoprirlo, non è tutto rose e fiori. Parlando con certi pro vedo anche le loro reazioni: sembra una vita facile, eppure una volta là dentro l’obiettivo è rimanerci più a lungo possibile. L’obiettivo non è passare, ma avere una carriera. 

 

Ho visto che in Italia, come nel resto del mondo, è di moda fare squadre continental: credo sia una buona cosa per dei corridori di una certa età, ma passare continental da giovani e fare gare con i prof sia un po’ rischioso. Si rischia di tirare un elastico e romperlo: a quest’età noi ci stiamo ancora sviluppando. I pro hanno anche l’esperienza con la quale i giovani non possono competere. Si rischia di essere bruciati. Invece io posso correre tra gli Under 23, sono in una squadra importante ma nel caso vado forte posso fare gare con i prof ma solo nel momento in cui sto andando davvero forte e la squadra crede sia la scelta giusta per quel momento”. 

Che tipo di corridore ti consideri? 

“Mi considero un corridore completo: abbastanza veloce ma non troppo, mi difendo sulle salite brevi, vado bene sul passo ma non sono un fenomeno. Per ora non ho ancora trovato una caratteristica in cui eccellere. Magari tra qualche anni cambierò in qualcosa: è tutto da vedere”.

Come valuti questa primissima parte di stagione? Come sono andate le prime corse? 

“La valuto positivamente: sono riuscito a fare un quinto posto nonostante la scuola, sono stato selezionato per corse importanti dove ho anche dato una mano. Ho fatto due piazzamenti nei 20 e da primo anno credo che questo sia soddisfacente per ora. Per ora il bilancio è positivo. Adesso stacco un po’, mi concentro sulla scuola fino alla maturità e poi riprenderò con calma”. 

Hai un idolo in particolare? 

“Il mio idolo è mio padre, che mi ha sempre aiutato da quanto è mancata mia mamma. È il mio riferimento principale, e se ho fatto questo percorso è anche grazie a lui, per come mi ha indirizzato e come mi ha cresciuto. Il mio idolo principale è lui.  

A livello sportivo come caratteristiche mi è sempre piaciuto Philippe Gilbert, perché mi rivedo un po’ in lui. Invece come persona Cadel Evans, ho sempre pensato sia un grande uomo, ho letto qualcosa sulla sua vita personale e mi ha colpito. Ci ho anche parlato assieme e mi è sembrata una persona davvero umana. È uno dei miei idoli principali sotto questo aspetto”. 

Chiudiamo con un pronostico sulla Sanremo: secondo te chi vince? 

“È dura. Possono vincere in tanti. Il favorito è Peter Sagan, secondo me. Tiene in salita e in una volata ristretta lo batti difficilmente, questo è un dato di fatto”. 

Ringrazio enormemente Mattia Viel per la disponibilità nel concederci quest’intervista!

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gianluca.santo@olimpiazzurra.com

Foto: profilo Facebook di Mattia Viel

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