Editoriali

‘Italia, come stai?’: l’atletica azzurra ridotta ad un fantasma

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Subito una premessa: dai Mondiali indoor di Sopot, considerato il percorso di avvicinamento e le migliori prestazioni stagionali degli azzurri, giunti in Polonia con una spedizione risicata, non ci aspettavamo di certo scintille e medaglie.
Il nostro grido d’allarme va rivolto al mondo dell’atletica italiana nel suo complesso, uno sport la cui crisi, per diversi anni nascosta dai risultati di alcune punte (Howe, Di Martini, Donato, Schwazer, Rigaudo), non accenna ad arrestarsi, anzi.

Vediamo in primis cosa non funziona, analizzandone poi le cause.
Partiamo dalla velocità e dal mezzofondo, due settori dove ormai la genetica è diventata un alibi. Certo, giamaicani e keniani resteranno sempre di un altro livello, eppure continuiamo a non comprendere la totale assenza dell’Italia in queste discipline. A Sopot abbiamo visto atleti americani e neozelandesi, di carnagione bianca, tenere il ritmo dei fuoriclasse africani sulle lunghe distanze, battagliando sino agli ultimi metri. Se i nostri atleti sono spettatori, non prendiamocela dunque con i geni…
Colpevolmente, inoltre, l’Italia continua a credere poco o nulla nei lanci. Nazioni come la Germania hanno costruito il proprio movimento atletico proprio su questo settore, che assegna ben 24 medaglie nelle competizioni estive tra uomini e donne (getto del peso, giavellotto, martello e disco). E il Bel Paese? Il fatto che a vincere i Campionati italiani del martello sia ancora il 40enne Nicola Vizzoni e che Paolo Dal Soglio (43) dia ancora filo da torciere al giovane Daniele Secci la dice lunga su come non si sia fatto nulla negli ultimi 20 anni per garantire un futuro importante in quest sport.
Che dire poi delle ‘multidiscipline’, dal decathlon all’eptathlon soffermandoci sulle prove all’aperto: manca una vera e propria scuola e, anche in questo caso, non si fa nulla per crearla.
Citazione finale, anche se non era presente in Polonia, per la marcia: in attesa della crescita di Eleonora Giorgi e della giovane Antonella Palmisano, siamo in pratica scomparsi anche dal vertice di un settore che per decadi ha rappresentato il nostro fiore all’occhiello.
Si salvano (ma è una sufficienza risicata) solo i concorsi, dove ancora riusciamo a sfornare campioni (o potenziali tali) come Daniele Greco ed Alessia Trost.

Viene da chiedersi: perchè tutto questo? Perché siamo caduti cosi in basso? Proviamo ad individuale delle cause che, a nostro parere, sono molteplici.
Il problema principale dell’atletica italiana, comune a tanti altri sport nostrani, è quello di non riuscire a tramutare in campioni le tanti giovani promesse che si mettono in luce nelle competizioni allievi e juniores. Un problema di cui ci ha parlato anche la grande campionessa del passato Fiona May, che ha affermato come “l’età dai 18 ai 21 anni è la più delicata. Nella testa di un ragazzo succedono tante cose“. E’ chiaro, dunque, che in quel momento serve stare vicini a degli atleti che, è bene ricordarlo, sono dei comuni adolescenti. Soprattutto, non ha senso spremerli sin dalla tenera età, per ottenere risultati in fondo fini a se stessi come quelli giovanili e magari ritrovarsi un atleta già appagato e demotivato proprio in occasione del cruciale salto tra i ‘grandi’.
Quanti atleti abbiamo visto emergere come potenziali fenomeni a 18-20 e poi eclissarsi e sparire dopo un paio di stagioni? L’elenco sarebbe molto lungo…

E’ innegabile anche la presenza di un problema culturale. Vi sottoponiamo una domanda che riassumerà un discorso molto più articolato: quante mamme sarebbero felici se le proprie figlie desiderassero praticare il getto del peso o il lancio del martello? Probabilmente zero su dieci, in una società dove le apparenze hanno di gran lunga soppiantato la realtà. La stessa tesi vale per tante discipline, pensiamo alla lotta o al sollevamento pesi…Non si comprende come lo sport, qualsiasi sport, fa bene alla salute e riveste un fondamentale ruolo educativo.

Altra causa del declino della nostra atletica è imputabile ai tecnici. Siamo sicuri che siano all’altezza della situazione? Probabilmente molti lo sono, altri no. Un atleta, per diventare un campione, deve essere supportato da un ottimo allenatore a partire dalla più tenera età, dove gli viene insegnata la tecnica, sino poi all’apice della carriera. Questo, purtroppo, accade raramente.

Tornando al difficile passaggio dall’età juniores a quella seniores, è innegabile come alcuni atleti, ottenute prestazioni tali da garantirsi un ingresso in un corpo militare e, dunque, uno stipendio fisso, accusino una sorta di senso di appagamento, non riuscendo più neppure a ripetere risultati che avrebbero dovuto costituire solo una base di partenza.

Per ovviare alle carenze sopraesposte, sarebbe necessario apportare dei correttivi. Lavorare sui giovani sino ai 20 anni investendo sulla tecnica, sullo sviluppo del fisico e senza inseguire ossessivamente il risultato; creare una scuola di alta specializzazione per i tecnici, rendendo necessaria la formazione con corsi di aggiornamento anche per gli allenatori di base; per quanto riguarda i corpi militari, elevare i requisiti per l’assunzione (dando maggior peso ai risultati seniores rispetto a quelli juniores) e magari prevedendo, pur nella difficile situazione attuale, degli incentivi economici in base ai risultati ottenuti.

Queste sono solo alcune delle soluzioni possibili e certamente non le uniche. Resta da capire se esiste una reale volontà di cambiare le cose. ‘Peggio di così non si può fare…’. Quante volte abbiamo ripetuto questa frase? Probabilmente ogni volta nelle ultime rassegne internazionali, segno di un contesto in continuo regresso. La nostra atletica è ridotta ormai ad un fantasma. Facciamo qualcosa.

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federico.militello@olimpiazzurra.com

1 Commento

  1. Gabriele Dente

    15 Marzo 2014 at 00:14

    Non frequento il mondo degli addetti ai lavori né conosco personalmente nessuno di loro. Sono solo un appassionato e tifoso, da quando quel caldissimo, indimenticabile 28 luglio dell’80 Pietro Mennea mi “iniettò” l’atletica e lo sport nel sangue. Dunque il mio pensiero potrebbe essere giudicato approssimativo da chi conosce le cose dall’interno. Vengo al punto. Generalmente i migliori atleti del mondo sono quelli seguiti dai migliori coach del mondo. A meno che una federazione o un club non li paghi profumatamente, i migliori coach del mondo di solito non vanno dietro all’atleta. Sono gli atleti ad andare da loro. Gli atleti, per andare da loro, hanno sufficiente disponibilità economica per pagarli. Hanno abbastanza denaro per pagare anche uno staff personale di medici/fisioterapisti/preparatori atletici/manager. In Italia l’atleta professionista, che poi sarebbe un militare o un poliziotto con un incarico particolare, con 1400-1500 euro di stipendio non può proprio pensare di pagarsi un coach. Tanto meno uno staff personale. D’altra parte in Italia spesso i coach sono tali solo per passione, non per professione. Devono guadagnarsi da vivere in altro modo, quindi non hanno la solidità economica per permettersi aggiornamenti, percorsi di studio, ecc. Il paraprofessionismo in cui versa l’atletica italiana, secondo me, difficilmente può portare a buoni risultati a livello élite. Mi risulta che i criteri per entrare nei gruppi sportivi militari sono un po’ larghi. Allo stato attuale, viste le scarse risorse a disposizione, si dovrebbe concentrare l’attenzione su un numero più ristretto di atleti e tecnici, e trattarli da VERI professionisti. Creare una sorta di club Italia, alla stregua di quanto fatto nella pallavolo. Che poi è quanto nei giorni scorsi ci siamo augurati anche per il ciclismo su pista.
    Sperando che, prima o poi, in un discorso più ampio, la pessima cultura sportiva che attanaglia la nostra società lasci spazio alla consapevolezza che la salute fisica e morale di un popolo passa anche attraverso lo sport.
    A presto!

    • ale sandro

      15 Marzo 2014 at 00:42

      Esattamente. Poi sui criteri dei gruppi militari oltre che larghi sono anche in passato stati un po’ poco lungimiranti a volte (vedi discorso di Bragagna riguardo Cologna), e non sempre aspettano l’evoluzione o la maturazione dell’atleta, mi pare il caso della Caravelli sia vicino a questo. C’è purtroppo molto da fare a livello organizzativo e culturale , senza dimenticare una certa difficoltà per la programmazione. Senza progetti a medio lungo termine,secondo me non ci sono miglioramenti tangibili.

  2. Al

    11 Marzo 2014 at 10:55

    Non so, per me se uno si dopa non ha importanza cosa fanno gli altri: i suoi risultati non valgono niente. Lo sport è importante perchè scuola di vita, se uno arriva in alto imbrogliando non merita nulla. Tornando a oggi, una cosa che secondo me sarebbe da fare subito è il valore scolastico della pratica sportiva: chi pratica sport agonistico dovrebbe avere un bonus a scuola. In questo modo lo Stato riconosce l’utilità di praticare sport per formare gli individui, nel contesto formativo principale che è ovviamente la scuola. All’università lo stesso discorso si potrebbe fare per le borse di studio, diamole sicuramente per meriti scolastici ma come condizione di mantenimento mettiamoci anche la pratica di un’attività sportiva, peraltro tutte le università serie offrono ampia scelta di gruppi sportivi organizzativi in modo compatibile con le lezioni.

    • ale sandro

      11 Marzo 2014 at 14:32

      Perfetto. Quindi converrai con me che i mezzofondisti e fondisti azzurri da te citati degli anni 80-90 valgono e meritano tanto. Non sono mai stati trovati positivi(mi si corregga se sbaglio) in controlli carenti che però hanno scoperto positività di atleti stranieri, e la stragrande maggioranza salvo alcune eccezioni non ha mai avuto a che fare con medici che utilizzavano pratiche discutibili ( all’epoca non vietate, addirittura se ne parlava in quotidiani sportivi come si fa oggi con camere iperbariche di tennisti e calciatori e simili, tutte cose da me non gradite assolutamente) o illecite.
      Quindi il discorso dell’antidoping come spiegazione di quei successi e degli insuccessi attuali non vale nulla. E’ un alibi ,una giustificazione per i fallimenti,che si tira fuori di tanto in tanto per far credere di essere a posto con sé stessi, di avere lavorato correttamente quando invece il resto del mondo fa passi avanti. Così come la genetica.
      Il cronometro e il metro non mentono e i nomi degli atleti anni settanta che ho fatto potrebbero giocarsi il titolo nazionale ancora oggi,questa è la cosa grave.
      Auspicabile un coinvolgimento serio delle scuole primarie e medie inferiori e superiori,oltre alle università, perché sono state finora sprecate anche troppe parole in merito senza mai un fatto concreto.

      • Al

        11 Marzo 2014 at 18:13

        Tu hai un po’ la tendenza a mettere in bocca all’altro cose che non ha detto. Io non condivido nella maniera più assoluta la giustificazione di eventuali doping “perché lo fanno tutti”. Luca lo ha scritto, tu ti sei associato, io invece non sono d’accordo. Poi non capisco in che modo l’antidoping ‘allegro’ dell’epoca dovrebbe essere un alibi dei fallimenti odierni, sono due cose scollegate. Questo amico che parla con buona conoscenza del mondo della corsa, mi dice che non tutti gli atleti italiani di successo erano puliti. Lui fa nomi che io non ho nessun motivo di riportare qui, proprio perché come dici tu non sono mai stati beccati, quindi a meno di non averli visti coi propri occhi, sarebbe solo fango.

        • ale sandro

          11 Marzo 2014 at 20:14

          Mi pare che stai decisamente esagerando nei toni. Non me ne frega nulla di mettere in bocca ad altri le cose, riporto quello che leggo. Mi sembra che quello che interpreta invece le cose a piacimento qua nell’occasione sei stato proprio tu.
          Nessuno aveva accennato all’antidoping più presente come possibile scusante ai fallimenti dell’atletica attuale, ma questa è una cosa che viene fatta ogni tanto purtroppo ,al pari dei discorsi sulla genetica , secondo me senza logica.
          Sei proprio tu che hai introdotto il tema antidoping elencando degli atleti e dicendo come i controlli allegri di un tempo ,secondo questo tuo amico, avrebbero potuto permettere a qualche campione italiano non pulito di fare la carriera che ha fatto. Ti è stato fatto poi notare che questi atleti non sono mai risultati positivi, e che anche studi successivi riportano come solo alcuni di loro potrebbero avere avuto, o hanno avuto, contatti con medici “discussi”. Sono io a dirti cosa c’entra parlare dell’antidoping scadente del passato se il tema è la crisi dell’atletica italiana. Se oggi non vanno, non è perché oggi li controllano e prima no. Prima andavano perchè erano forti , oggi sono lontani anni luce dai primi. L’alibi sta nel fatto che secondo alcuni prima si vinceva perchè si poteva fare ciò che si voleva, ma se prima vincevi non lo facevi gareggiando da solo , soprattutto se gli avversari ,a differenza tua, non sempre risultano negativi ai controlli.
          Quindi non giustifico proprio nessun doping, e confermo di essere d’accordo con Luca quando dice che i controlli sono stati spesso una bufala nella storia dello sport e che i nostri non gareggiavano contro atleti puliti perchè è la verità, e ti ho fatto l’esempio di Vainio. Siccome tu stesso hai detto che la certezza sulle positività di alcuni dei nostri atleti non c’è l’hai ,e c’è l’ha in parte il tuo amico, non vedo perché introdurre questo tema.

          • Al

            12 Marzo 2014 at 11:10

            Esagerando nei toni? Boh! Mi sembra che questa discussione stia diventando polemica pura perciò se sei d’accordo la chiuderei qui. Nel mio primo messaggio, che trovi ancora in fondo, parlando del doping ho espressamente scritto “tolto questo”, che è una semplice “probabilità” non dimostrata, quindi si prende col beneficio d’inventario. Resta con certezza una tradizione italiana della corsa lunga che non è stata continuata, per questo siamo in crisi di risultati e bisognerebbe fare alcune cose, alcune costano e sono quindi più difficili, altre sarebbero a costo zero e basterebbe quindi la buona volontà. Mi sembra tutto perfettamente rilevante per questo articolo, ho provato a ripeterlo ora con altre parole, spero di essermi spiegato meglio. Amici come prima spero e buona lettura!

          • ale sandro

            12 Marzo 2014 at 11:37

            Figurati ci mancherebbe, infondo si parla pur sempre di sport, anche se può essere un argomento importante, i discorsi che faccio li faccio sempre molto serenamente e nel rispetto altrui. Quel discorso sull’antidoping e sulle questioni mediche anni 80 , era stato fatto in passato da alcuni tra dirigenti e altri addetti ai lavori, un po’ come scusante del fatto che non si era più ai fasti di un tempo, in una maniera secondo me poco corretta e non logica per i motivi che ti ho spiegato. Ecco perché ho voluto puntualizzare la cosa, perché purtroppo è un vizietto italiano usato anche per altri sport,e ritenevo invece molto più logiche al discorso ,e secondo me tra le vere cause del problema mezzofondo e fondo, altre cose tra cui le questioni che avevi detto in merito agli allenatori finiti all’estero ad allenare magari qualche campione africano, oltre magari a qualche metodo di allenamento che potrebbe avere degli aggiornamenti, così come ritengo sia il reclutamento la prima cosa da fare. Buona lettura anche a te.

    • Luca46

      11 Marzo 2014 at 22:07

      Tante belle parole ma non ti offendere il sistema è un altro e non solo professionistico. Non esiste sportivo al mondo che non usi questa o quella sostanza. I metodi per aggirare i controlli ci sono. Purtroppo chi vuole intraprendere questa attività deve sottostare ad metodo operandis oppure sta fuori oppure sta ai margini. Se vuoi è così se non vuoi è pomì, nessuno obbliga nessuno ma le regole sono chiare fin dal principio. Le parole di Di Luca sono quanto mai veritiere. Poi ci sta tutta la scala di grigi: chi abusa, chi qualche volta, chi per un motivo, chi per un altro, ecc… ecc… E questo purtroppo è qualcosa che fa parte della società e succede in ogni lavoro. Per esempio vogliamo andare a vedere i cantieri edili quanti sono in regola? o nelle banche se si fa sempre l’interesse del cliente? Vuoi lavorare? si … allora stai al gioco, no … stai fuori e se vuoi mettiti contro a dei colossi. La maggior parte accetta di stare al gioco così nella vita così nello sport.

      • Luca46

        11 Marzo 2014 at 22:21

        Quello che voglio dire non è che è giusto così, io non sono per il doping. Però la situazione è questa. Quello che voglio dire è che ti trovi di fronte una scelta che tu giustamente dal tuo punto di vista non giustifichi. Poi ognuno nella vita fa delle scelte. Chi lavora in fonderia non rischia di meno di uno sportivo. Qualcosa però bisogna pur fare. Io dico solo che non mi piace vedere gente che si allena ogni giorno e che mette impegno in quello che fa essere visti come banditi perchè qualche errore o qualche ingiustizia a seconda dei casi fa saltare fuori la punta dell’iceberg e quindi si passa per capro espiatorio di una situazione che non dipende esclusivamente da se stessi ma che è per lo meno indotta per quanto acconsentita.

        • Al

          12 Marzo 2014 at 12:13

          Caro Luca, ognuno ha la sua esperienza, penso che in questo sito possiamo dare per scontato di avere fatto tutti agonismo e di sapere più o meno come funziona. Io non penso che tu sia favorevole al doping, ci mancherebbe. Diciamo che hai un grado di realismo sul tema che io non condivido, perché penso che lo sport di vertice venga dopo quello di base. Mi va benissimo che i campioni vengano gestiti al limite, delle pratiche sportive e mediche, senza però mai violare consapevolmente le regole, altrimenti vanno levati dai piedi perché infettano il movimento, soprattutto i giovani, che è molto più importante.

          • Luca46

            12 Marzo 2014 at 19:50

            Premetto che io di sport agonistico ne ho vissuto poco in prima persona vuoi per una forma asmatica che i medici giudicavano pericolosa vuoi perchè ero e sono scarso in molti sport. Però ho vissuto le situazioni di amici e praticandolo ogni giorno da varie frequentazioni di sportivi o ex-sportivi sono secondo me riuscito a trarre un quadro di insieme a forza di chiedere. Io penso che non sia una questione di sport professionistico o giovanile. Penso che sia una questione culturale e anche storica. Si è venuto a creare un sistema che è questo e che per l’amor del cielo si puo’ cambiare e si dovrebbe ma serve come in tutte le cose della vita sociale la volontà di tutti o dei piu’ perlomeno. Eseendo che per ora le cose stanno così poi ognuno all’interno di questo meccanismo decide autonomamente se e come starci. Io però non ho detto che violano inconsapevolmente anzi sono consapevoli. Lo sport infondo è una passione che si coltiva da fanciulli innocenti poi arriva un momento in cui devi decidere se privarti del sogno o fare piu’ o meno come fan tutti perchè secondo me di questo si tratta. Poi ripeto del minestrone ci stanno tutte le sfumature. Non è che vanno levati dai piedi perchè infettano i giovani l’ambiente è già infettato da subito a vari livelli. In molti casi ci sarebbe da prendere i genitori e quelli si levarli dai piedi. Poi ognuno la vede come vuole e puo’ anche essere che sia come dici tu che sono ignari di tutto. Certo è che siamo tutti daccordo che sarebbe giusto eliminare queste pratiche ma come? Non è mica facile. Come in tutti i processi che vanno a cambiare qualcosa di radicato nei secoli ci vuole tempo. Pensa che si parlava già di doping alle olimpiadi dei greci antichi.

  3. ale sandro

    10 Marzo 2014 at 21:55

    Per 6 anni di fila tra fine anni novanta ,prima metà anni zero sparirono i giochi della gioventù, poi ripresi con formula diversificata , legata più alla scuola in sé che al singolo ragazzo. Ci sono in ogni caso polemiche a riguardo, perchè si ritiene che questi non assolvano più come prima il ruolo fondamentale di reclutamento. In sostanza queste interruzioni e poi cambiamenti hanno portato una generazione e mezzo di atleti a sparire in tutti i settori. ovviamente per recuperare la cosa o riparti subito nella maniera migliore,oppure ti ci vuole minimo il doppio degli anni per rimetterti almeno in carreggiata.
    Quando dico che la storia dello sport, i medaglieri e i risultati del passato sono importanti e da ricordare, lo dico perchè servono anche a capire la situazione attuale.
    La spiegazione sta tutta nel passaggio di Federico sui problemi di Daniele Secci nel battere gli ultra quarantenni Paolone Dal Soglio e Marco Dodoni al campionato nazionale indoor solo negli ultimi turni di lancio con un personale di 19,25. Queste misure le faceva Marco Montelatici 36 anni fa (!), prima del periodo che viene tanto discusso. Ho fatto l’esempio di Montelatici ,buonissimo pesista, non a livello di Andrei certamente, per far capire come in tantissimi settori l’italia sia rimasta indietro a troppi anni fa. Certo Secci è molto giovane, e ha tutto per migliorare e fare una grande carriera, ma se parliamo ad esempio di fondo e mezzofondo ,lo stesso Franco Fava negli stessi anni settanta aveva record personali che valgono come e meglio della maggior parte degli azzurri attuali.
    Per questo sono d’accordo con il discorso di Luca, gli altri non andavano certo a pane e acqua (ricordo positività del finlandese Vainio , un campione non certo una mezza tacca,a Los Angeles proprio dietro Cova) , e diversi azzurri non sono nemmeno presenti nei cosiddetti “diari del doping” sulle pratiche dell’epoca comuni a tutte le nazionali,peraltro per anni alcune nemmeno vietate nel periodo in questione. Quelli che avevamo erano dei campioni, e accanto a loro c’erano degli allenatori che facevano dell’aggiornamento e dello scambio di conoscenze un fattore positivo , oltre allo sfruttamento pieno di un centro federale come quello di Formia.
    C’è tantissimo da fare , dal reclutamento all’aggiornamento tecnico e dei tecnici, oltre a una gestione sensata degli impianti. Ricordo per esempio il blog della Rai in pieno zero a Berlino ’09, fioccavano le descrizioni dettagliate di atleti giovani che da universitari si trovavano,una volta finite le lezioni nel tardo pomeriggio o prima serata, il campo di allenamento perennemente chiuso.
    Quest’anno per me sarà decisivo per lo sport italiano degli anni dieci, non solo per l’atletica leggera. Si capiranno infatti, se le scelte fatte potranno portare i giovani a salire un po’ di livello a breve termine per fare bene a Rio, oppure se si dovrà cambiare qualcosa per arrivare a Tokyo con delle nazionali competitive. Gli atleti già maturi comunque ci sono in alcune specialità, il problema dei troppi infortuni è ugualmente fondamentale e da non trascurare. Anche in quell’ottica si deve lavorare per migliorare.

  4. Luca46

    10 Marzo 2014 at 21:15

    I controlli antidoping sono una bufala e vengono aggirati tuttora. Sicuramente è piu’ difficile di prima ma non è che i Cova corressero con gente pulita. Alle fine chi piu’ chi meno in un sistema si è tutti nella stessa barca e ci si adegua. Io credo invece che c’era una scuola di talenti che poi ha trascinato altre giovani leve. Sicuramente l’avvento prorompente degli africani ha portato via spazio e reso difficile l’emergere in queste specialità. Di qui un via via decrescente interesse per il mezzofondo. Forse molti nuovi sport hanno portato via un po’ di base. E poi in generale come sport a livello scolastico siamo indietro rispetto a molte altre nazioni. Probabilmente anche qualche soldino in meno per le società e gli atleti.

  5. Al

    10 Marzo 2014 at 19:40

    Ne parlavo venerdì con un amico che vende abbigliamento sportivo e coordina un gruppo podistico con 140 iscritti, iscritto alla Federazione, gareggiano in Italia e all’estero. Va bene tutto (in realtà non va bene per niente), ma il mezzofondo e il fondo italiano? Cova, Mei, Antibo, Panetta, Lambruschini, Di Napoli, nel fondo Pizzolato, Bordin, Baldini, la marcia citata nell’articolo… L’Italia nelle gare di resistenza era una piccola potenza, come è possibile non contare più nulla? Secondo questo mio amico, di base c’è stato un periodo storico in cui i controlli antidoping erano piuttosto allegri anche da noi, quindi qualcuno dei nostri campioni, probabilmente non era proprio pulito. Tolti questi, resta comunque una ‘scuola’ italiana che non è stata coltivata lasciando che gli allenatori dell’epoca, e i campioni diventati allenatori a fine carriera, andassero ad allenare altri, compresi gli africani. Oggi ci converrebbe fare allenare i nostri giovani con gli africani, dovremmo però offrire dei vantaggi e la nostra dirigenza sportiva non sembra lontanamente in grado di perseguire questo approccio da ‘potenza’ dello sport.

  6. NunzioV

    10 Marzo 2014 at 14:28

    Il primo grande problema dell’atletica leggera italiana sono gli impianti, spesso inesistenti o inadeguati. Con tutta la buona volontà, con tutti i tecnici che volete, con tutta la cultura sportiva possibile, senza pista e senza pedane non si va da nessuna parte.

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