Ciclismo
Milano-Sanremo: un salto nella storia
E pensare che all’inizio in pochi credevano in un successo della Milano-Sanremo. Quando il giornalista della Gazzetta dello Sport Tullio Morgagni propose al suo direttore Eugenio Costamagna di utilizzare un percorso di una gara podistica per una prova ciclistica, non c’era troppa convinzione, non si pensava che questa gara sarebbe divenuta un successo.
Siamo nel 1907 e alla Conca Fallata, un’osteria lungo il Naviglio, si presentano 33 dei 62 corridori iscritti, pronti a ricalcare il percorso verso la Liguria che l’anno prima, appunto, fu teatro di una corsa a piedi in due tappe e in passato anche di una automobilistica. Vince il Piccolo Bretone, ovvero il francese Lucien Petit-Breton, ma è dal secondo decennio del Novecento che questa corsa inizia a ritagliarsi uno spazio via via più importante tra i sempre più numerosi appassionati della bicicletta: proprio nel 1910, un’infernale giornata tardo-invernale porta al traguardo solo sette atleti e il vincitore, l’altro francese Eugène Christophe, arriva in Liguria convinto di aver sbagliato strada. Segue l’epopea di Costante Girardengo, tramandato alle nuove generazioni dalla leggendaria canzone “Il bandito e il campione” di Francesco De Gregori oltre che dagli almanacchi: sei successi per il campione di Novi Ligure, che ben conosceva quelle strade. Ci sono poi Binda e Guerra, Bartali e Coppi: e proprio all’Intramontabile è legato un curioso aneddoto, datato 1935: l’allora ventunenne toscano, neoprofessionista, si ritrova al comando della Classicissima contro ogni pronostico. Ma Emilio Colombo, geniale patron della Gazzetta dello Sport, non può certo permettere che una corsa di tale prestigio venga vinta da uno sconosciuto: così, distrae Ginettaccio con un’intervista volante, facendolo rallentare notevolmente, in modo da farlo riprendere-e poi battere-nell’ordine da Giuseppe Olmo, Learco Guerra e Mario Cipriani; inutile negare come poi ben più di una persona sia dovuta intervenire per impedire che il mitico Bartali si facesse giustizia da sé.
Nel dopoguerra prosegue l’epopea dei due eroi d’Italia e poi arriva lo smargiasso Loretto Petrucci di cui abbiamo già parlato: quindi, un lungo periodo di trionfi per campioni stranieri, da Rik Van Steenbergen a Raymond Poulidor, da Eddy Merckx al compianto Tom Simpson. Merckx e gli altri belgi spadroneggiano anche negli anni Settanta, sebbene la fuga di Michele Dancelli e l’impresa di Felice Gimondi restituiscano il sorriso all’Italia; Saronni-Moser, con una prestigiosa puntata di Pierino Gavazzi, è invece il leit-motiv del decennio successivo, prima degli anni Novanta in cui Bugno, Chiappucci, Fondriest, Furlan e Colombo regalano ai nostri colori un trionfo dietro l’altro, ai quali fa seguito l’epoca di Erik Zabel, quattro vittorie. Si arriva infine ai giorni nostri: alle volate, scontate o sorprendenti (in quanti, nel freddo assurdo dell’anno scorso, avrebbero puntato su Ciolek?), o ai colpi da finisseur di Pozzato e Cancellara, confermando come questa classica, dal percorso apparentemente semplice, è comunque in grado di riservare molteplici sorprese.
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com