Rubriche
‘Cogito, ergo sport’: Abdon Pamich, una maratona lunga 80 anni
“La noia proviene o da debolissima coscienza dell’esistenza nostra, per cui non ci sentiamo capaci di agire, o da coscienza eccessiva, per cui vediamo di non poter agire quanto vorremmo”.
Ugo Foscolo
Fortunato colui che è in grado di trovare l’equilibrio tra questi eccessi, beato chi fa del giusto mezzo aristotelico non il suo limite ma la propria aurea mediocritas (Orazio).
Mirabile Abdon Pamich, plurimedagliato maratoneta degli anni Sessanta, due titoli europei, bronzo alle Olimpiadi di Roma, oro ai Giochi di Tokyo del ’64, in quella storica vittoria giunta dopo una crisi intestinale al 38° chilometro, che costrinse Pamich ad accostarsi al bordo della strada per “liberarsi dal fastidio”.
“Non ho mai puntato alla vittoria, ma a migliorare me stesso. Il resto dipende da altri”; il resto, semplicemente, non conta. È Pamich stesso a ribadire che materialmente la marcia non gli ha dato molto e l’unico motivo per cui il campione di Fiume ha deciso di intraprendere questa strada, strada non ancora abbandonata visti i quattro allenamenti settimanali all’età di 80 anni, è il piacere di farlo. D’altra parte, le cose più belle sono quelle semplici, e “cosa c’è di più naturale del camminare?”.
Aveva solo tredici anni quando le vicende belliche l’hanno costretto a fuggire clandestinamente dalla città natale, e da quel momento la sua corsa non si è mai arrestata.
In un’epoca come la nostra dove ciò che conta è il record, il gossip, il far parlare di sé, l’eccesso, il protagonismo, dove una foto su twitter basta a provocare reazioni dispiegate in mille programmi televisivi, Pamich rifiuta “l’atletica delle lepri” a favore dello sport inteso come palestra di vita e di valori, sostenendo che “o sei uno sportivo o sei un personaggio”. Inutile specificare in quale categoria rientri il maratoneta italiano che ha sempre visto lo sport sia come mezzo in grado di trasmettere il rispetto per l’avversario, il dominio di sé, la capacità di concentrazione, il desiderio di rivalsa nei confronti di un passato difficile come il suo, sia allo stesso tempo come fine: sport per lo sport, correre per passione, vincere senza esaltarsi, perdere senza abbandonare l’entusiasmo.
Con due lauree in psicologia e sociologia, Abdon Pamich è l’emblema del “cogito, ergo sport”, avendo accolto il significato dell’essere sportivo nel senso più ampio del termine perché, si sa, “il pensiero senza azione è una vana illusione, l’azione senza il pensiero uno sforzo vano” (Gustave Le Bon), e Pamich ha passato anni ed anni ad allenare il corpo e la mente in una maratona ben più lunga di 50 chilometri.