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Ciclismo: il difficile compito di Davide Cassani

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Quando ha accettato l’incarico di Commissario Tecnico della nazionale, Davide Cassani era perfettamente consapevole della difficoltà di tale compito: il ciclismo maschile tricolore non sta certo affrontando una fase esaltante sul piano dei risultati internazionali- soprattutto se paragonata ai fasti di un passato non troppo lontano-ma al tempo stesso non è nemmeno corretto considerare l’Italia una squadra di serie B e credere che i nostri non possano più cogliere certe soddisfazioni.

Perché se Cassani ha accettato l’incarico, lo ha fatto con la consapevolezza che, nei pochi eventi riservati alle nazionali (Mondiali ed Olimpiadi), le maglie azzurre dovranno essere in grado di giocarsi le medaglie (siamo a secco dalla doppietta Ballan-Cunego a Varese 2008). Non sarà facile: nel ciclo storico attuale, per un’infinità di ragioni, gli italiani fanno una certa fatica nelle corse in linea e in particolare nelle grandi classiche. Quali sono le motivazioni? Tante, appunto. Al di là del fatto che in, ogni sport, ciascuna nazione ha momenti in cui sforna un maggior numero di campioni e altri di difficoltà più marcate, un esempio potrebbe essere dato dalla quantità di squadre di club italiane nel World Tour, la massima serie del ciclismo professionistico: 2 su 18, sempre ammesso che si consideri la Cannondale, marchio americano ma licenza e management italiani, tra le nostre assieme alla Lampre-Merida. Certo, la Spagna, pur in un momento ben più felice del nostro, attualmente ha la sola Movistar: ma sarà un caso che, nell’età dell’oro del nostro ciclismo, tra i top team a livello globale ci fossero Lampre, Liquigas, Saeco, Fassa Bortolo, Mercatone Uno, Alessio, Domina Vacanze, solo per citare gli sponsor più prestigiosi invitati a quasi tutte le corse di primissimo ordine? Ed erano squadre con una fortissima componente italiana dei corridori. Poi sono accadute due cose: il ciclismo ha continuato la sua globalizzazione e sono entrati ingenti capitali, soprattutto dai paesi ex sovietici e angloamericani, che hanno rivoluzionato il mondo dei team creando delle corazzate multinazionali contro le quali è impossibile competere sul piano finanziario. E gli sponsor italiani, anche quelli di “seconda fascia”, si sono tirati indietro da un ambiente che nel frattempo aveva perso moltissima credibilità, per via di quell’infinita serie di scandali doping-in molti casi riguardanti atleti azzurri-con i quali abbiamo ripetutamente e tristemente avuto a che fare.

Questa è sola una delle tante ragioni, anzi delle ipotesi (un’altra riguarda senza dubbio la poca propensione all’attività su pista), per cercare di spiegare le difficoltà del nostro ciclismo nel momento attuale e di conseguenza quelle del compito di Davide Cassani. Il tecnico romagnolo è apparso indubbiamente sulla strada giusta, per quanto possa fare un CT: visionerà ogni gara, in linea o a tappe, convocherà stage e raduni per valutare tutti gli azzurrabili, magari provenienti anche da squadre di seconda fascia che non sempre possono sfruttare i palcoscenici più blasonati, per quanto lo meritino; ha poi annunciato di voler costituire una sorta di task force, con tecnici federali e giovani under 23/juniores, per colmare il gap a cronometro, specialità che assegna medaglie esattamente quanto la prova in linea. Ci proverà, Davide, a rimettere in sesto il nostro ciclismo e a riportarlo in alto, sperando che federazione, squadre di club e atleti, professionisti e giovani, remino dalla sua stessa parte: “fare sistema” è fondamentale nel ciclismo come in tutti gli altri sport.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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