Ciclismo
Ciclismo, Stefano Agostini: “Mi ritiro a testa alta, non ci sto a passare per dopato”
Nello scorso mese di settembre, Stefano Agostini, giovane corridore in forza alla Cannondale, venne trovato positivo al Clostebol in seguito ad un test sulle urine del 21 agosto e immediatamente sospeso dal suo team. Sette mesi dopo, per una vicenda assolutamente grottesca come si vedrà dalle prossime righe, l’Unione Ciclistica Internazionale gli propone 15 mesi di squalifica, in alternativa allo svolgimento del processo: il friulano, campione d’Italia under 23 nel 2010, non ci sta e, per difendere la propria innocenza, decide con questa lettera di ritirarsi dall’attività agonistica.
Egregi Signori,
Voglio precisare che la mia accettazione della sanzione va intesa come dichiarazione di resa: mi arrendo a un sistema che ha deciso che a 25 anni io debba smettere di essere un ciclista professionista.
Si tratta di una sanzione che non reputo giusta e che non sento per nulla appartenermi dal momento che non ho mai fatto uso di sostanze dopanti.
Il mio passaporto biologico è impeccabile, le differenti e plurime analisi del sangue sono ineccepibili.
Risulta solo che l’emerito laboratorio di Colonia ha rilevato la presenza di 0,7 miliardesimi di grammo nelle mie urine di una sostanza chiamata Clostebol, principio attivo della pomata Trofodermin che io stesso avevo dichiarato al momento del controllo e che, tra l’altro, mi era stata regolarmente prescritta dal medico per curare un’eruzione cutanea.
Il laboratorio ha riscontrato, in misura infinitesimale, quello che io avevo dichiarato in perfetta buona fede; resta anche un forte ed irrisolto dubbio che probabilmente se io non l’avessi dichiarata non sarebbe nemmeno stata riscontrata, ed ora non mi troverei in questa situazione paradossale.
Tutto il mondo, addetti ai lavori e non, sa che non ci si dopa con una pomata per di più prescritta dal proprio medico curante, e venduta in qualsiasi farmacia o parafarmacia, addirittura senza ricetta medica in quanto farmaco da banco.
Ebbene dopo 7 lunghi mesi di sospensione, di spiegazioni delle circostanze di fatto della vicenda, di richiesta di informazioni supplementari con scadenze brevi e perentorie, di estenuante attesa di un qualche genere di riscontro da parte Vostra (che giungeva sistematicamente dopo settimane dal mio interpello), di logoramento e stress misto ad apprensione… la spettabile UCI pur avendo ben chiara la situazione, documentata del resto in modo incontestabile, ha deciso di trattarmi oltrechè in modo sensibilmente più severo rispetto ad altri atleti “incappati” nel Trofodermin, addirittura alla stregua di chi fa e ha fatto in passato uso di EPO, cocaina o di chi ha praticato metodi proibiti quali trasfusioni e manipolazioni del proprio sangue, proponendomi 15 mesi di squalifica, cui quasi come una beffa si aggiunge anche il pagamento delle spese da Voi sostenute.
Se la Vostra conclusione è quella di comminare una squalifica senza dubbio eccessiva, quel che più colpisce sono le ragioni di detta scelta. La documentazione da me debitamente prodotta nei Vostri termini ha dimostrato la veridicità della mia versione nonché quindi la mia onestà, e del resto l’UCI stessa ha riconosciuto l’utilizzo del farmaco Trofodermin crema da me dichiarato e lo scopo terapeutico di tale uso, motivato del resto da una prescrizione medica. Prescrizione medica che però non è stata sufficiente come spiegazione e giustificazione, vista l’imputazione di responsabilità.
Questo è stato l’epilogo della procedura di accettazione della sanzione da voi propostami mesi fa, al dichiarato scopo di abbreviare i tempi della decisione ed evitare un processo e spese connesse. Evidentemente niente di tutto ciò è accaduto.
La conclusione ha poi del grottesco.
L’alternativa che mi viene posta è la trasmissione del dossier alla Federazione Ciclistica Italiana con successivo svolgimento del processo, all’esito del quale l’autorità decidente dovrà confermare i 15 mesi di squalifica altrimenti l’UCI stessa, come candidamente già dichiarato con tono velatamente ricattatorio, ricorrerà al TAS di Losanna; per il sottoscritto ciò comporterebbe evidentemente lo svolgimento di controanalisi e perizie, il conferimento del mandato difensivo ad un legale nonchè la nomina degli arbitri per un costo complessivo di circa 30-35.000 Euro che non ho.
Mi permetto di dire, alla luce dell’assurda conclusione di questo caso, che la “rete” antidoping dell’UCI ha indubbiamente qualche problema di funzionamento dal momento che non fa distinzione con riguardo a chi vi rimane impigliato, nemmeno alla luce delle circostanze di fatto che valgono sicuramente a distinguere un caso come il mio dai casi di “vera” assunzione di sostanze dopanti al fine di alterare la propria prestazione e di falsare i risultati.
Nel ribadire quindi come la fine della mia carriera ciclistica sia dovuta esclusivamente agli 0,7 nanogrammi (0,000000007 g) di Clostebol provenienti, per Vostro stesso riconoscimento, da una pomata utilizzata una sola volta allo scopo di curare, sotto consiglio medico, una patologia dimostrata, aggiungo che quello che mi rimane da questa vicenda è una profonda ed irrisolvibile disillusione nei valori dell’onestà, della giustizia e dell’uguaglianza intesa nel senso di trattare situazioni eguali in modo eguale e situazioni diverse in modo diverso.
Lascio il ciclismo professionistico a testa alta, consapevole di non aver mai barato e di aver ottenuto tutti i miei risultati con dedizione e sacrificio, perfettamente conscio che questa assurda vicenda ha anche provocato notevoli danni alla mia immagine.
Credo infine che questa vicenda, che a me ha rovinato la carriera e distrutto i sogni, andrà anche a minare la stessa credibilità, utilità ed infallibilità del Vostro sistema di controllo antidoping.
Cordialmente
Stefano Agostini
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com
Luca46
10 Aprile 2014 at 20:51
Impossibile sapere se dice la verità o meno. È però l’ennesima conferma che c’è molta confusione e disegualita’ in materia. Io credo che per mettere a posto le cose si debba arrivare a far pagare sponsor e team manager e medico sociale. Gli atleti oggi giorno sono controllati al 100%. Se un ragazzo si dopa loro lo sanno e quasi sempre sono loro ad incentivare queste pratiche che molti ragazzi per gareggiare alla pari sono costretti ad accettare. Su questo credo non ci sia nessun dubbio. Ho diversi amici e conoscenti che hanno smesso per non stare al gioco. Ma chi vuole giocare deve farlo alle loro regole.
Marco Regazzoni
10 Aprile 2014 at 17:24
Essendo un (illuso?) che crede nel ciclismo pulito, scrivere un articolo del genere mi ha fatto davvero male. Certo, da un lato è la conferma di come in questo sport ormai i controlli siano davvero una cosa seria, e rafforza la mia idea che sgarrare, nel 2014, sia pressoché impossibile; dall’altro, però, non posso non notare l’ipocrisia della stessa UCI che per un decennio ha insabbiato l’affaire Armstrong, ovvero la più grande truffa nella storia dello sport, e che qui si accanisce…senza averne ragione, perché credo alla versione del ragazzo. Si è passati da un estremo all’altro nell’antidoping, non solo nel ciclismo: penso al caso di Igor Stella, il giocatore di sledge hockey che non ha potuto disputare le Paralimpiadi per via di una pomata usata per combattere le piaghe da decubito e non dichiarata per tempo; adesso si arriva a punire, più o meno legittimamente, anche la disattenzione di chi non dichiara un uso legittimo di una sostanza (o, nel caso di Agostini, lo fa!) e non solo il tentativo di barare.
ale sandro
10 Aprile 2014 at 18:00
Condivido anche la punteggiatura e gli spazi.
ale sandro
10 Aprile 2014 at 12:48
Speravo che dopo la fine del presidente irlandese McQuaid e l’arrivo dell’inglese Cookson a capo dell’UCI certe cose potessero finalmente cambiare,mi pare invece che non sia affatto cambiato nulla. Che Di Rocco si interessi finalmente a curare un po’ l’interesse dei corridori ci credo poco, visti altri precedenti come con la Cucinotta. In bocca al lupo ad Agostini in qualunque modo vada a finire per lui.
Al
10 Aprile 2014 at 10:44
Sono un sostenitore della tolleranza zero sul doping, con la radiazione immediata rischiare non conviene più a nessuno: né all’atleta né a squadre, medici, sponsor. Leggendo questa notizia mi sento obbligato a ribadire che io preciso sempre imbroglio “consapevole”. Se la storia del ragazzo è vera, lui parla di averla già provata agli appositi organi, vale il principio opposto: difesa a ogni costo. La Federazione italiana, qualora lo riconoscesse innocente, dovrbbe sostenere essa stessa gli oneri a difesa della propria sentenza presso il TAS. Se è vietato dagli appositi accordi, fare in modo che l’atleta abbia supporto legale in altri modi, e criticare apertamente in modo costruttivo ma fermo l’errore commesso dall’organo internazionale. Assolutamente non lasciar correre, pretendere la stessa serietà che viene richiesta. E’ una vita faticosa ed è ben noto che ai dirigenti italiani in qualsiasi campo non piace farla (vedi il detto “soldati italiani, ufficiali tedeschi”). Sarebbe bello vedere segnali di cambiamento.