Calcio
Storie Mondiali: l’Italia e la doppia Corea
“Corea”, un nome vago, lontano, indefinito. Una penisola divisa in due subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando un gruppo di ufficiali statunitensi, muniti di cartina del National Geographic, tracciarono il confine al 38° parallelo, simbolo della spartizione bipolare del mondo; al nord, una Repubblica Popolare di chiaro stampo sovietico, al sud uno Stato legato alla potenza americana. La guerra della penisola, nel 1953, si concluse praticamente con un nulla di fatto e quella divisione, inizialmente provvisoria, divenne definitiva solo con lievissimi mutamenti e si perpetua nei decenni. Corea del Nord e Corea del Sud, Pyongyang e Seul, intrapresero strade del tutto divergenti, spezzando l’unità millenaria del popolo e della cultura coreana, e rappresentano ancora oggi, con tendenze diametralmente opposte, l’ultimo muro della Guerra Fredda.
A fianco delle arti marziali e della ginnastica, il calcio è sempre stato amatissimo da queste parti. E le storie di calcio coreane, nei momenti di massimo fulgore delle rispettive nazionali, si sono sempre incrociate con quelle azzurre, peraltro con esito identico, ovvero la clamorosa sconfitta dell’Italia; forse, i due momenti più bassi della nostra storia mondiale, rispettivamente nel 1966 e nel 2002.
“Ridolini!”
Il disastro del 1966 inizia lì, con questa semplice definizione che Ferruccio Valcareggi, assistente del commissario tecnico Mondino Fabbri, utilizza per descrivere i nordcoreani, facendo riferimento al nomignolo con cui era conosciuto in Italia Larry Simon, un grande comico del cinema muto. E allora gli azzurri “devono segnare tre gol nei primi dieci minuti” – incalza Fabbri negli spogliatoi. Non è così. Perché di fronte a campioni come Albertosi, Facchetti, Mazzola e Rivera i vari Ri Chan-Myung, Ha Yung-Won, Im Sung-Hwi e Pak Doo-Ik, tutto meno che professionisti del pallone, impegnati nei più svariati lavori, giocano alla morte. Come raccontano Gianni Minà e Darwin Pastorin nel loro “Storie e miti dei Mondiali”, la foto simbolo di quel match, terzo e decisivo incontro del Gruppo 4 dei mondiali inglesi, è quella di “tre nordcoreani che saltano, quasi a scala, per annullare un tentativo di testa del gigante Giacinto Facchetti“. Sacrificio, corsa, impegno e determinazione da un lato; dall’altro, invece, un talento perduto, una sicurezza via via più vacillante, un’incapacità di fare persino le cose più semplici. Pak Doo-Ik, professore di educazione fisica (sebbene la leggenda metropolitana lo abbia descritto come dentista), al minuto 42 realizza il vantaggio nordocorano; l’Italia, oltretutto, è in dieci da pochi attimi, dall’infortunio al ginocchio di Giacomino Bulgarelli (le sostituzioni non erano ancora concesse), e da lì in poi, per tutta la ripresa, è solo confusione, disordine, disorganizzazione. L’Italia è fuori dai Mondiali, la Corea del Nord passa ai quarti di finale e spaventa persino il Portogallo: 3-0 a fine primo tempo, poi si sveglia Eusebio e i lusitani spezzano il sogno asiatico con un perentorio 5-3. Per gli azzurri, invece, solo pomodori e insulti al momento del ritorno in patria.
“E io tiro fuori sempre quell’episodio quando si parla della nostra vigliacca partita di quattro anni fa con la modesta Corea, padrona di casa, che ci costò l’eliminazione. L’Italia doveva far quattro gol, anziché prendersela con l’arbitro Moreno” (Candido Cannavò)
Trentasei anni più tardi, la storia si ripete, con protagonisti diversi. Daejeon, Corea del Sud, 18 giugno: i padroni di casa hanno brillantemente superato il non probitivo girone eliminatorio al primo posto e si trovano opposti all’Italia che, zoppicando, si è invece qualificata per seconda nel proprio raggruppamento. Il destino affida la partita ad un arbitro destinato ad entrare nella storia come protagonista negativo: tale Byron Moreno da Quito, Ecuador, personaggio che più avanti verrà anche arrestato in quanto corriere della droga. Certo, sarebbe riduttivo attribuire le cause della disfatta azzurra unicamente alla giacchetta nera: l’Italia sottovaluta un avversario non così tecnico, ma comunque ben organizzato (certamente non la “squadra materasso” del torneo, anche perché diretta da un allenatore di comprovata bravura come Guus Hiddink). Nel giro di pochi minuti, i sudcoreani hanno subito l’occasione del vantaggio, ma Gianluigi Buffon sventa un rigore-peraltro contestabile-e il punteggio resta inchiodato sullo zero a zero, sino a quando Christian Vieri, al 18esimo, insacca con uno dei suoi impareggiabili inserimenti aerei su calcio d’angolo. La Corea corre, l’Italia spreca, nella ripresa, con lo stesso Vieri l’opportunità di chiudere i conti; la Corea picchia, anche, senza venire sanzionata dall’arbitro, e Gianluca Zambrotta ed Alessandro Del Piero escono infortunati; tuttavia, in pieno stile trapattoniano, l’1-0 sembra cosa fatta, ma Ky Hyeon-Seol, a due minuti dal novantesimo, approfitta di un liscio di Panucci per realizzare il gol del pareggio che esalta il pubblico di Daejeon. Ironia della sorte, a commentare il match per la RAI, a fianco di Bruno Pizzul, c’è Giacomo Bulgarelli, uno degli sfortunati protagonisti della disfatta del 1966: in quel momento, col pareggio avversario, un brivido freddo percorre la schiena sua e di tutti gli appassionati italiani. Ai supplementari, Moreno diventa definitivamente protagonista: secondo giallo e dunque rosso a Totti per simulazione (quando in realtà il capitano della Roma viene platealmente atterrato in area), rete annullata a Damiano Tommasi che, poco dopo, scatta sul filo del fuorigioco e insacca dopo il fischio. Perché l’Italia ci prova, anche in dieci, volendo evitare a tutti i costi quei calci di rigore i quali, sino ad allora, non avevano quasi mai sorriso alla nostra nazionale. Ai rigori, infatti, non si arriva: Ahn Jung-Hwan, attaccante del Perugia, gira di testa in rete un cross dalla trequarti. Golden gol, partita finita, Italia a casa. Una disfatta sul piano del risultato, che in qualche modo si è tentato di attutire scaricando tutte le colpe sull’arbitro: operazione legittima e supportata dagli episodi del match, tuttavia classico stile italico che fatica molto a riconoscere una sconfitta, in particolare se non sono mancate le occasioni per chiudere definitivamente la partita nonostante il condizionamento arbitrale. Mai parlare di Corea ad un italiano, comunque.
foto tratta da news.bbc.co.uk
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com