Atletica

Doping, Ben Johnson: “Trovato positivo perché lasciai Adidas”

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Ad oltre venticinque anni dalle Olimpiadi di Seoul 1988, l’ex sprinter canadese Ben Johnson continua a far parlare di sé e del suo caso doping, venuto fuori dopo la sua vittoria sui 100 metri davanti a Carl Lewis. Il titolo, naturalmente, gli fu tolto, ma Johnson non ha ancora digerito il fatto, ed è tornato alla carica in un’intervista rilasciata al quotidiano francese Le Monde.

Fino al 1987, ha ricordato egli stesso, Johnson correva con scarpe Adidas. In seguito ad una ricca offerta, però, decise di passare ad un nuovo fornitore, Diadora. Questa scelta si sarebbe poi rivelata fatale: “Se guardiamo i risultati dell’epoca, solo gli atleti dell’Adidas non venivano mai trovati positivi. Perché? Perché la compagnia era in buoni rapporti con il Comitato Olimpico Internazionale“, ha affermato l’ex atleta, perorando la sua originale teoria. “Se fossi rimasto con loro, non sarei stato trovato positivo“.

Sebbene abbia ammesso di essersi dopato sin dal 1981, Johnson ha ribadito di essere stato vittima di un complotto in quel caso: “Non ho preso quel prodotto (lo stanozololo, ndr) a Seoul. Da un lato, era impensabile di assumere droghe poco prima di una competizione, era solo per gli allenamenti. Inotre, abbiamo utilizzato lo stanozololo solamente per poco tempo ad inizio degli anni ’80“.

Secondo Johnson, dietro alla sua positivitià ci sarebbe un misterioso uomo, tale André Jackson, inviato dallo staff di Carl Lewis per incastrarlo: “Ho scritto nel mio libro che nel 2004 André ha ammesso di aver contaminato la mia bottiglia d’acqua alla vigilia della finale dei 100 metri con degli steroidi che aveva comprato in Texas“.

Sebbene sia difficile prendere alla lettera le affermazioni del canadese, quest’intervista di certo non può far altro che gettare nuove ombre sul sistema antidoping mondiale.

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Immagine: Le Figaro

giulio.chinappi@olimpiazzurra.com

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