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Storie Mondiali: la Mano de Dios e il gol del secolo
Ognuno ha il suo pantheon di eroi sportivi personali, ma quando si parla di calcio tutti concordano almeno su due nomi: Pelé e Diego Armando Maradona. Su entrambi si è già detto e scritto praticamente tutto, nel bene o nel male: perciò in questa occasione non vogliamo raccontare nulla di nuovo, anzi.
Si tratta infatti dei tre minuti più celebri della storia del calcio, quelli che intercorrono tra il 51′ e il 54′ di un’Argentina-Inghilterra, valida per i quarti di finale dei Mondiali di Messico 86, sin lì bloccata sullo zero a zero. In quei pochi attimi, la storia del calcio viene riscritta proprio da Maradona. Già, Diego, un talento tanto straordinario quanto controverso per il quale non servono ulteriori aggettivi: le folle argentine e napoletane sono state unite per anni-e lo sono tutt’ora-nell’elogio incondizionato di un campione che non ha eguali, capace di tirare in porta da ogni posizione, di saltare l’uomo e dribblarlo una seconda volta per puro diletto, di “creare un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci alcuno spazio“, per citare un grande cantore del fùtbol come Osvaldo Soriano.
In quei pochi minuti, Maradona fa vincere l’Argentina e, simbolicamente, la trascina al successo finale che otterrà contro la Germania Ovest. Al cinquantunesimo, l’onesto mediano britannico Steve Hodge alza ingenuamente un campanile nella propria area; Peter Shilton, portiere già allora trentasettenne (ma giocherà sino al 1997, toccando quota 1390 match ufficiali), cerca di farlo suo in presa alta, eppure…eppure Maradona riesce ad alzarlo nuovamente con un tocco, a scavalcare il numero uno e ad insaccare il vantaggio. La foto è storica: Maradona tocca il pallone con un pugno, e in conferenza stampa dirà che quella rete è stata realizzata “un poco con la cabeza di Maradona y otro poco con la mano de Dios“.
Sorvolando sull’ingenuità dell’arbitro tunisino Ali Bin Nasser e sul vespaio di polemiche che prosegue ancora oggi, centoottanta secondi più tardi Diego fa il bis. Stavolta, però, in maniera limpida, indiscutibile, meravigliosa: realizzando quello che è, semplicemente, il gol del secolo, ovvero il più bello della storia del calcio. Il Pibe de Oro riceva palla, nella propria metà campo, dal compagno Héctor Enrique e si lancia in uno scatto di 60 metri col pallone letteralmente incollato ai piedi: Hoddle, Reid, Sansom, Butcher, Fenwick vengono lasciati di sasso, annichiliti, persino umiliati dalla morbidezza e dal talento con cui Diego coccola la sfera. Anche Peter Shilton viene saltato ed è il due a zero: a nulla servirà, nel finale, la rete del solito Gary Lineker, perché l’Argentina andrà avanti, stendendo poi il Belgio (doppietta del Pibe) e infine la Germania Ovest, con il gol decisivo marcato da Burruchaga.
Genio e sregolatezza, talento e follia, Diego Armando Maradona è ancora oggi un idolo indiscusso; lo era tanto più in quegli anni, perlomeno fino al 1994 quando, dopo essere stato universalmente esaltato come il salvatore dei Mondiali (gli Stati Uniti, non ancora contaminati dalla febbre del soccer, si appassionano a quel Campionato del Mondo proprio grazie a Diego, che realizza il gol con urlo in faccia alla telecamera contro la Grecia), venne per la seconda volta trovato positivo ad un controllo antidoping. Ma il mito, si sa, sopravvive anche agli scandali.
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com