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‘Cogito, ergo sport’: Mondiali 2014, un mondo dei mondi
“Il mondo è come un tavolo da gioco predisposto in modo tale che tutti quelli che entrano nel casinò devono giocare”.
Samuel Butler
Tutti devono giocare. Ogni popolo, di ogni continente, nazione, lingua, razza. È il mondo che deve giocare.
La magia dei Mondiali sta nel vedere squadre varie con giocatori che spesso non avrebbero la possibilità di condividere la stessa maglia, incoraggiati da milioni di tifosi, dai più interessati di sport, ai semplici appassionati di gioco perché mai, come in una competizione mondiale, lo sport si fa gioco.
Cos’è che rende un evento simile mondiale a tutti gli effetti? Non è solo l’alta concorrenza, la sfida ai massimi livelli. Si percepisce un’euforia condivisa più gaia e serena che non in “semplici” campionati. È piuttosto l’incredibile forza di uno sport-specchio dove il mondo guarda il mondo, rimanendo affascinato da se stesso. Un teleschermo condiviso dove pare di affacciarsi su un quadro emblematico come Las Meninas di Velázquez: un pittore che dipinge se stesso nell’atto di dipingere, facendosi da attore spettatore; uno spettatore, il fruitore dell’opera, che diventa attore perché osservato dagli sguardi dei protagonisti del dipinto. È così che il tifoso, anche il non intenditore, si sente parte attiva di un gioco dove la parte del protagonista viene rimbalzata da una parte all’altra.
22 giocatori in campo sono solo una parte dello spettacolo mondiale. È come proiettare le pene, le grandezze, la varietà, le caratteristiche dei singoli mondi all’interno di un palco circoscritto ma, per l’appunto, mondiale. Un microcosmo che rispecchia il macro in uno scenario di prodezze e meraviglie, sorprese e sconcerti.
I Mondiali di calcio in Brasile, cominciati da appena pochi giorni, hanno offerto già esibizioni che di certo saranno a lungo ricordate: un incredibile goal di testa in tuffo dell’olandese Robin van Persie, la clamorosa sconfitta della Spagna che subisce 5 goal, il risultato inaspettato di un Costa Rica che batte l’Uruguay, il velato tocco, la finta da prestigiatore esperto, di un Pirlo che sfiora il pallone servito a un potente destro di Marchisio. E ancora il nuovo record di passaggi ben riusciti, 554 ovvero il 93,19%, stabilito dall’Italia nella partita contro l’Inghilterra, battendo la percentuale danese dopo 28 anni.
Come scrisse Lev Tolstoj, “no, questo mondo non è una finzione, non è solo la valle di prova e di passaggio a un mondo migliore e eterno, ma è uno dei mondi eterni, bellissimo e gioioso”.
Lo sport, sotto le vesti dello spettacolo, come una forma di arte, apre un mondo non meno autentico di quello “reale”.
“Noi costituiamo i nostri mondi costruendoli” (Nelson Goodman) perciò “non c’è un mondo; ci sono tanti mondi, nessuno dei quali onnicomprensivo. C’è un mondo per ogni visione e versione che se ne dà nelle teorie scientifiche, nelle arti, nelle opere di artisti e narratori, nelle nostre percezioni”: c’è un mondo nello sport con uno spazio tutto suo ma che è vicino a tutti i mondi; quello del Brasile 2014 è il mondo del calcio, dei giocatori e dei tifosi, il mondo delle Nazioni: il mondo dei mondi. In una parola, il Mondiale.