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Golf, la definitiva resurrezione di Martin Kaymer. Molinari soddisfatto a metà, per la Ryder Cup…

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Su dove si trovi attualmente il centro mediatico del mondo ci sono pochi dubbi. Gli occhi di gran parte del pianeta sono rivolti inevitabilmente sul Brasile, su una rassegna iridata ad elevato tasso di spettacolarità nelle sue prime giornate. Ma, mentre Neymar, Robben, Van Persie, la sorprendente Costa Rica e Balotelli infiammavano i Mondiali nel weekend, qualche parallelo più su un fuoriclasse dello sport con una pallina più piccola si rendeva protagonista di una prestazione mozzafiato, di un dominio di come non se ne vedono poi tanti nel golf.

Lo U.S. Open non sarà paragonabile ad un Mondiale facendo le dovute proporzioni, ma ci va molto vicino, d’altronde è pur sempre un Major. E Martin Kaymer lo ha fatto suo come solo un tedesco sa fare: autorità, solidità, resilienza e, ovviamente, talento. Un vero Kaiser, degno erede di quel Bernhard Langer in grado vincere per due volte il Masters tra gli anni ’80 e ’90. Il 30enne teutonico, però, non si è limitato a vincere, ma a stravincere. Otto colpi di vantaggio sui secondi, secondo score più basso nella storia dello U.S. Open, score più basso mai realizzato dopo 36 buche e, generalizzando, un divario tecnico enorme rispetto al resto del field. Kaymer si è adattato splendidamente ad un Pinehurst No. 2 tanto generoso nelle prime due giornate quanto infido e letale nel fine settimana, quando il vincitore del PGA Championship 2010 ha gestito da campione vero il cospicuo vantaggio. Eppure, in pochi avrebbero scommesso su un 2014 di tale livello per lui, in quanto reduce da un 2013 disastroso e pieno zeppo di passaggi a vuoto, senza squilli e senza vittorie. La pazienza, però, è la virtù dei forti e, nonostante essere sprofondato oltre la 60esima posizione nel ranking mondiale, Kaymer ha rimesso insieme i pezzi ed è esploso nuovamente durante il The Players. Un torneo non a caso, alla luce del montepremi più ricco del mondo. Perché Kaymer non è un golfista banale, basti pensare alla Ryder Cup 2012: il putt decisivo che consentì all’Europa di conservare il titolo lo realizzò proprio lui, grazie al consueto sangue freddo che lo contraddistingue nei momenti decisivi.

Su questo aspetto, probabilmente, Francesco Molinari sarebbe uno di quelli destinati ad andare a ripetizioni dal tedesco. “Esperienza da mettere nel bagaglio. Fra ieri e oggi, però, potevo fare di più. Mi rimane quel pizzico di rammarico” – spiega il torinese al termine di un torneo in cui, come capita troppo spesso, ha sprecato qualche occasione di troppo per poter agguantare un piazzamento decisamente più prestigioso. Resta, nel complesso, l’ottimo torneo disputato, il miglior U.S. Open mai giocato in carriera da Chicco, ma da uno con la sua sensibilità e con la sua precisione nel gioco lungo ci si poteva attendere probabilmente uno score leggermente più basso. Una classifica migliore avrebbe inciso maggiormente anche in chiave Ryder Cup, da cui attualmente Francesco sarebbe fuori stando agli ordini di merito. Tuttavia, se dovesse continuare con questo rendimento, siamo sicuri che capitan Paul McGinley farebbe un pensierino anche all’italiano per l’assegnazione delle tre wild card. Il 23° posto finale, però, potrà far acquisire maggiore consapevolezza al torinese anche sui campi americani, ormai non più un tabù come negli anni scorsi.

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daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

Foto: Federgolf

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